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Visualizzazione dei post da 2020

La voce delle sirene

  La prima cosa che ho fatto avendo tra le mani un libro dal sottotitolo accattivante assai – I Greci e l’arte della persuasione – è stato scorrere l’indice dei nomi: niente, Michelstaedter non c’è. Forse l’autrice del libro La voce delle sirene , Laura Pepe, avrà pensato bene che la persuasione intesa come ben parlare ben ragionando per il bene comune, poco o nulla sfiorasse l’accezione del filosofo goriziano celebre postumo per la sua tesi di laurea La persuasione e la rettorica . Anche se a ben vedere nel Preludio l’autrice vi accenna, alla Retorica… Ma torniamo alla persuasione, a peitho, che include seduzione quale forma di persuasione preesistente alla parola –, e arte del convincere, e a quest’unica divinità Peitho’, attende questo libro godibilissimo di un’autrice che sempre con Laterza pubblicò nel 2018 un altro libro altrettanto frizzante: Gli eroi bevono vino. Il mondo antico in un bicchiere . Qui – dopo aver evocato Ulisse stretto all’albero maestro mentre i compagni

Moffet e Bobbio

  Leggendo Lo sciame umano di Mark W. Moffett (Einaudi pag.563 euro 36,00) mi è venuto da pensare che il più democratico statunitense equivale a un sostenitore della destra europea. Tipico esempio di marcatore d’identità di cui si fa un gran parlare nel libro che vuole essere come recita il sottotitolo: una storia naturale delle società. Dove per “naturale” l’autore intende “inevitabile”. Esploratore nonché docente ad Harvard, Moffett da biologo si guadagna il pane riflettendo sull’ordine della natura. Anche se, a ben vedere, il termine “naturale” in biologia non esiste. Parla di razza senza porsi limiti, Moffett, addirittura, a pag. 208, secondo capoverso, scrive: “Nondimeno, poiché sentiamo che le società e le etnie sono radicate nel profondo (scorrono nel sangue )...”. Mentre in Europa chi scrive libri scioglie quell’idea sanguigna in ben più responsabili ragionamenti, capaci di annullare razze e razzismi, dagli Stati Uniti tutt’altro segnale. Transeat, però… Leggendo Lo

L'Orma - Dickens Van Gogh Wilde

  Volete fare un regalo utile e inutile insieme? Davvero trendy? Leggero, ecologico e culturalmente valido? Prendete uno degli ultimi pacchetti de L’orma editore, tre giganti: Van Gogh, Dickens e Wilde. Costano sette euro l’uno, possono essere spediti nella buca delle lettere dopo l’affrancatura a 1,50 euro, la via più semplice; o se vi capita di stare alla posta, con piego di libri spendete 1,25 euro. Sono lettere, carteggi, fogli di fronte cui essere come si vuole, tendenzialmente sinceri. Sincero era Van Gogh, quando scriveva di Dickens all’amico Van Rapperd: “Non c’è un altro scrittore che è pittore e disegnatore come Dickens. Le sue figure sono resurrezioni.” Lo racconta Massimiliano Borelli, curatore del gigante inventore di Pip e Oliver, David, quel Charles di cui “basta citare il lemma dickensiano”, per vedersi immersi in fumosi vicoli londinesi di metà Ottocento, o strade grigie topo dove s’aprono fabbriche rumorose. Viveva nell’incubo di tornare povero come agli inizi, il b

Scusa se non sono abbastanza

  Avete mai pensato a non pensare? Avete mai provato a volere bene anche a chi non ve ne vuole? A spezzare cattive catene? Già solo il fatto che vi sia passato per l’anticamera del cervello, è buon segno. Significa che vi state educando, attività che non finisce mai; l’autoriflessione essendo, la cosa più utile di tutto l’Umanesimo. Scusa se non sono abbastanza è titolo editorialmente infelice per un libro fragrante come il pane appena uscito dal forno, un libro sulla felicità. Libro che lo dice, lo ridice, a tratti quasi lo grida: la filosofia sia praticata a scuola, da tutti, dalle elementari alle superiori. Scritto da Raffaele Mirelli, filosofo napoletano di trentanove anni con tanto da dire ed esempio d’invidiabile ars brevis: si fa bastare cento pagine; a pubblicarlo, ci ha pensato Castelvecchi a settembre scorso. Libro dichiaratamente elaborato e scritto durante la “sessantena”. L’occasione è immaginaria e non lo è. Lo è per costruzione, avendo due cornici, una d’invenzion

Il pozzo e l'ago - Intorno al mestiere di scrivere

  No, non è un manuale, l’autore lo nega a più riprese; sì, è un libro utile e bello, bello assai. Il pozzo e l’ago è un viaggio meraviglioso intorno al mestiere di scrivere; per Einaudi lo ha pubblicato Gian Luigi Beccaria, linguista e filologo, “studioso dello stile” recita la quarta di copertina. È un libro che ho letto avidamente e subito ricominciato non appena finito. Si è fatto leggere, per ora, due volte in un mese. Lo terrò accanto. Mestiere lento, lo scrivere, conta il talento ma ancor più l’ostinazione, la ricerca. Manzoni dedica quasi una vita a fare e rifare I Promessi sposi . Lo scrittore è un artigiano paziente, ché scrivere, al contrario di quel che si crede, non è lasciarsi andare, è fatica controllata. Un artigiano – Proust sosteneva che uno scrittore attende a un’opera come una sarta cuce un vestito, lavorando in modo incessante, meticoloso, costruttivo –, un artigiano dalle mani d’oro, come quelle di Elsa Morante che scriveva sempre a mano. Ancor più lavora d

Frammenti di antropologia anarchica

  Nostra patria è il mondo intero, nostra legge è la libertà ed un pensiero ribelle in cor ci sta: è il ritornello di una canzone scritta dall’anarchico Pietro Gori alla fine dell’Ottocento e riportato in vita da una grande artista, Caterina Bueno. Sì, torno a parlare di anarchia. Lo spunto l’offre un piccolo ma problematico libro – nel senso che apre innumeri questioni – stampato a settembre dall’amata Elèuthera: Frammenti di antropologia anarchica di David Graeber nato a New York nel 1962 e morto quest’anno a Venezia. Antropologo e attivista politico, Graeber in primis si chiede come mai all’interno dell’accademia ci siano così pochi anarchici e avviando un’analisi comparata marxismo/anarchismo, nota come disciplina accademica e politica marxista si siano sviluppate all’unisono. Il che ha portato non solo “contributi salutari” come l’idea che l’accademia esista in quanto riferimento morale, e che al suo interno si creino questioni importanti per la vita delle persone, ma anche di

La vita sensibile

“Senza resto” è locuzione avverbiale che ricorre spesso ne La vita sensibile di Emanuele Coccia, quasi a voler dichiarare che la sua è filosofia che non fa prigionieri. Scrive chiaro il filosofo “maitre de conférences” all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi: un libro che letteralmente mi ha fatto saltare sulla sedia riportandomi alla lettura giovanile del Trattato delle sensazioni dell’abate di Condillac. Pubblicato tra i Saggi dal Mulino nel 2011, La vita sensibile si divide in due parti – Fisica del sensibile e Antropologia del sensibile -, e si dà due compiti: indagare l’esistenza del sensibile, e studiare i modi in cui l’immagine e il sensibile danno corpo alle attività spirituali e danno vita al suo stesso corpo. Dacché Cartesio negò autonomia ontologica alle specie intenzionali, la filosofia dorme un sonno dogmatico e questo libro è una sveglia simil acqua gelida in faccia al dormiente. Per una volta, un filosofo si pone senza pregiudizi di fronte alle imm

Andrea Emo

  In vita sua – nacque nel 1901 vicino Padova, morì a Roma nel 1983 -, Andrea Emo, discendente di dogi, filosofo allievo di Giovanni Gentile, ma presto libero da sistemi e influenze, non pubblicò neanche una riga. Eppure per tutta la vita non fece che scrivere. All’indomani della sua scomparsa, furono trovati quasi quattrocento quaderni, scritti fitti fitti in una calligrafia regolare e con pochissime correzioni. “Che cosa possiamo pubblicare se non ciò che è privato e intimo, cioè più universale, perché proprio a ciascuno, che gli universali astratti? Ma come pubblicare ciò che è sacro e bello finché resta privato e occulto, e diviene osceno, come ogni nudità, non appena si manifesta? Come evitare questa metamorfosi del medesimo, come salvare la castità di ciò che è intimo e privato e appunto perciò vuole conoscersi, cioè esprimersi, divenire altro (cioè pubblico e formale) restando se stesso? Qual è il miracolo di una forma che è trasformazione?” Così si domandava il filosofo nob

Tragedia e filosofia - Una storia parallela

  Ricomincio da me, dalla fine. A vent’anni, forse, sono stata la più giovane Nell nella storia del teatro: la faccia bianca di biacca, in testa un berretto da notte, accucciata in un finto bidone. All’epoca – era il 1984, recitavo per e con Rino Sudano –, il regista mi diceva: tu cominci dalla fine. Allora quella frase sibillina suonava stridente ai miei inizi teatrali, soprattutto ai miei vent’anni. Oggi la comprendo pienamente. A rincarar la dose di codesta comprensione, la lettura dell’ultima Agnes Heller: «Tragedia e filosofia – Una storia parallela». Prima di andarsene per sempre, la filosofa ungherese di origini ebraiche, ci ha lasciato una storia dell’Occidente raccontata zigzagando tra due agoni, quello tragico e quello filosofico. Ci guida, l’allieva di György Lukács, in un parallelismo che prende le mosse da una fatalità: la filosofia appare quando la tragedia non è più. La tragedia – nasce ad Atene – stando a Nietzsche “morì suicida” ché Euripide abbandonò Dioniso e f

Classificare, separare, escludere

  Sarà stato il 1969 o il 1970, insomma avevo cinque o sei anni e gli adulti mi dicevano: stai attenta agli zingari, rapiscono bambini come te e li usano in strada per chiedere l’elemosina. La riscrittura della Storia: la verità vera è che nella Germania nazista i bambini zingari vennero spesso usati come cavie dagli scienziati dell’eugenetica, per lo studio delle presunte basi genetiche della criminalità. La sottrazione dei figli è stata una delle forme di sterminio messe in atto contro questo popolo, figli che nell’Austria e nella Svizzera del Settecento venivano strappati alle famiglie per essere affidati a contadini bisognosi di manodopera, o ai preti, perché dessero loro un’educazione cristiana. Furono cinquecentomila gli zingari che persero la vita nei lager nazisti, ma sembra che nessuno li voglia ricordare. Anche se a Roma, al rione Monti, c’è Via degli Zingari dove una targa dedicata a Rom Sinti e Camminanti, ricorda quello sterminio. In Classificare, separare, escludere ed

Un senso a questi giorni

Essere chiamato a dare un senso (a quel che un senso ce l’ha in una chiamata cui siamo tutti tenuti a rispondere), non dev’essere stato per nulla facile. Un senso a questi giorni implica una lettura a cuore aperto, non stretto da paura, pieno di responsabilità e cura, cura di sé e dell’altro. A ben pensarci, questa pandemia potrebbe essere intesa come una chiamata all’adultità, maggiore età che difetta al mondo. Viene in mente leggendo questo libriccino, conversazione tra un professore che quando parla illumina la pagina, Ivo Lizzola, e un giornalista, Pierluigi Mele che per Rainews24 cura un blog di interviste, Confini . Lizzola, ordinario di Pedagogia sociale all’Università di Bergamo, cita Simone Weil a memoria: “Sembra di trovarsi in un’impasse da cui l’umanità possa uscire solo con un miracolo. Ma la vita è fatta di miracoli.” Era il 19 marzo e Lizzola rispondeva a nove domande confluite in un libro di appena trentaquattro pagine ma piene di luce, grazie ai tipi di Castelve

Ecologia della parola - Il piacere della conversazione

Parlare bene è pensare bene, prova ne sia che ci sono parole che fanno ammalare e altre che fanno guarire. Se siete stanchi delle parole urlate e sgangherate, del vituperio e del vilipendio, in libreria c’è un balsamo, un volume militante che si propone di fare quello che dice e dice di voler ridare spessore al parlare, “proponendo di parlare meno e alternando un silenzio riflessivo”. Ecologia della parola è un altro di quei libri che sarebbe auspicabile leggessero tutti, o perlomeno chiunque voglia divenire cittadina o cittadino libero e autorevole del mondo. Lo ha scritto Anna Lisa Tota sociologa dalla penna piena di grazia che le consente di svolgere la complessità semplicemente, ché mira ad essere compresa da tutti. E in pieno raggiunge la meta avvicendando conoscenza ed esperienza, riuscendo a scrivere di concetti non semplici e vita vissuta. A partire dall’evidenza che noi siamo le parole che ascoltiamo e diciamo, senza tralasciare in pagine bellissime il linguaggio del