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Visualizzazione dei post da ottobre, 2020

Andrea Emo

  In vita sua – nacque nel 1901 vicino Padova, morì a Roma nel 1983 -, Andrea Emo, discendente di dogi, filosofo allievo di Giovanni Gentile, ma presto libero da sistemi e influenze, non pubblicò neanche una riga. Eppure per tutta la vita non fece che scrivere. All’indomani della sua scomparsa, furono trovati quasi quattrocento quaderni, scritti fitti fitti in una calligrafia regolare e con pochissime correzioni. “Che cosa possiamo pubblicare se non ciò che è privato e intimo, cioè più universale, perché proprio a ciascuno, che gli universali astratti? Ma come pubblicare ciò che è sacro e bello finché resta privato e occulto, e diviene osceno, come ogni nudità, non appena si manifesta? Come evitare questa metamorfosi del medesimo, come salvare la castità di ciò che è intimo e privato e appunto perciò vuole conoscersi, cioè esprimersi, divenire altro (cioè pubblico e formale) restando se stesso? Qual è il miracolo di una forma che è trasformazione?” Così si domandava il filosofo nob

Tragedia e filosofia - Una storia parallela

  Ricomincio da me, dalla fine. A vent’anni, forse, sono stata la più giovane Nell nella storia del teatro: la faccia bianca di biacca, in testa un berretto da notte, accucciata in un finto bidone. All’epoca – era il 1984, recitavo per e con Rino Sudano –, il regista mi diceva: tu cominci dalla fine. Allora quella frase sibillina suonava stridente ai miei inizi teatrali, soprattutto ai miei vent’anni. Oggi la comprendo pienamente. A rincarar la dose di codesta comprensione, la lettura dell’ultima Agnes Heller: «Tragedia e filosofia – Una storia parallela». Prima di andarsene per sempre, la filosofa ungherese di origini ebraiche, ci ha lasciato una storia dell’Occidente raccontata zigzagando tra due agoni, quello tragico e quello filosofico. Ci guida, l’allieva di György Lukács, in un parallelismo che prende le mosse da una fatalità: la filosofia appare quando la tragedia non è più. La tragedia – nasce ad Atene – stando a Nietzsche “morì suicida” ché Euripide abbandonò Dioniso e f

Classificare, separare, escludere

  Sarà stato il 1969 o il 1970, insomma avevo cinque o sei anni e gli adulti mi dicevano: stai attenta agli zingari, rapiscono bambini come te e li usano in strada per chiedere l’elemosina. La riscrittura della Storia: la verità vera è che nella Germania nazista i bambini zingari vennero spesso usati come cavie dagli scienziati dell’eugenetica, per lo studio delle presunte basi genetiche della criminalità. La sottrazione dei figli è stata una delle forme di sterminio messe in atto contro questo popolo, figli che nell’Austria e nella Svizzera del Settecento venivano strappati alle famiglie per essere affidati a contadini bisognosi di manodopera, o ai preti, perché dessero loro un’educazione cristiana. Furono cinquecentomila gli zingari che persero la vita nei lager nazisti, ma sembra che nessuno li voglia ricordare. Anche se a Roma, al rione Monti, c’è Via degli Zingari dove una targa dedicata a Rom Sinti e Camminanti, ricorda quello sterminio. In Classificare, separare, escludere ed

Un senso a questi giorni

Essere chiamato a dare un senso (a quel che un senso ce l’ha in una chiamata cui siamo tutti tenuti a rispondere), non dev’essere stato per nulla facile. Un senso a questi giorni implica una lettura a cuore aperto, non stretto da paura, pieno di responsabilità e cura, cura di sé e dell’altro. A ben pensarci, questa pandemia potrebbe essere intesa come una chiamata all’adultità, maggiore età che difetta al mondo. Viene in mente leggendo questo libriccino, conversazione tra un professore che quando parla illumina la pagina, Ivo Lizzola, e un giornalista, Pierluigi Mele che per Rainews24 cura un blog di interviste, Confini . Lizzola, ordinario di Pedagogia sociale all’Università di Bergamo, cita Simone Weil a memoria: “Sembra di trovarsi in un’impasse da cui l’umanità possa uscire solo con un miracolo. Ma la vita è fatta di miracoli.” Era il 19 marzo e Lizzola rispondeva a nove domande confluite in un libro di appena trentaquattro pagine ma piene di luce, grazie ai tipi di Castelve

Ecologia della parola - Il piacere della conversazione

Parlare bene è pensare bene, prova ne sia che ci sono parole che fanno ammalare e altre che fanno guarire. Se siete stanchi delle parole urlate e sgangherate, del vituperio e del vilipendio, in libreria c’è un balsamo, un volume militante che si propone di fare quello che dice e dice di voler ridare spessore al parlare, “proponendo di parlare meno e alternando un silenzio riflessivo”. Ecologia della parola è un altro di quei libri che sarebbe auspicabile leggessero tutti, o perlomeno chiunque voglia divenire cittadina o cittadino libero e autorevole del mondo. Lo ha scritto Anna Lisa Tota sociologa dalla penna piena di grazia che le consente di svolgere la complessità semplicemente, ché mira ad essere compresa da tutti. E in pieno raggiunge la meta avvicendando conoscenza ed esperienza, riuscendo a scrivere di concetti non semplici e vita vissuta. A partire dall’evidenza che noi siamo le parole che ascoltiamo e diciamo, senza tralasciare in pagine bellissime il linguaggio del