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Visualizzazione dei post da luglio, 2020

La Luce e la Notte

Quel che sembra non è. Non è un libro da scorrere con gli occhi, è pieno d’ironia, a volte amara, ma richiede un’attenzione vigile pari a un uguale e contrario lasciarsi andare. La luce e la notte di Germano Zampa, uscito a novembre per Rupe Mutevole edizioni, si apre con il rodimento proprio di chi sospetta d’essere tradito. Sospetta Filiberto che la moglie Luisa lo tradisca con l’architetto Bovi, guru di una compagnia di amici vari ed eventuali di una non precisata città italiana. Fin qui sembrerebbe che il fattaccio sia il perno di un romanzo che si snoda per duecentosettanta pagine le quali poi in verità quel perno, quel fulcro, lo sposteranno di continuo in fughe da capogiro. Fino quasi a farne smemorato il lettore che si ritroverà immerso in una miriade di storie offerte con un alto tasso d’invenzione linguistica. E se quel che sembra non è, allora, sulla carta, tutto può essere. Può essere che Filiberto, per allontanarsi dal rodimento del sospetto, finisca per prende

Filosoficamente vostro

Se Pascal pensava che l’infelicità dell’uomo derivasse dalla sua incapacità a starsene da solo nella sua stanza, Voltaire più di un secolo dopo scriveva: “Se c’è una cosa che ho capito, col passare degli anni, è che tutto sommato non c’è nulla per cui valga davvero la pena di uscire di casa.” Lo scriveva nel 1754 in una lettera a Madame du Defand dove nella querelle fra antichi e moderni, sposa il partito delle lingue classiche. Curato da Lorenzo Flabbi, a marzo 2020 – un marzo che non dimenticheremo facilmente – è stato dato alle stampe da L’orma un altro Pacchetto, da spedire volendo, dedicato stavolta a Voltaire e alle sue lettere. Filosoficamente vostro è il titolo tratto dalla lettera del 1755 niente meno che a Jean Jacques Rousseau cioè a un nemico per la pelle tanto che il filosofo francese arrivò a definire il collega ginevrino “un discendente bastardo figlio del cane di Diogene”. No, non andava per il sottile l’autore delle Lettere filosofiche anche se sottile aveva na

Transito

C’è chi dice, chi scrive legge, chi legge scrive: “Io non ne capisco niente, e quello non è il mio mondo. Ma una cosa la so: l’uomo che aveva scritto quelle pagine era un maestro della sua arte. Mi scordai della noia mortale. E se avessi avuto ferite mortali, leggendo me ne sarei scordato ugualmente. Mi pareva di essere di nuovo con la mia famiglia. M’imbattei in parole che aveva usato la mia povera madre per calmarmi quando diventavo violento e crudele, in parole con cui mi sgridava quando mentivo o mi azzuffavo. M’imbattei in parole che avevo adoperato io stesso per poi dimenticarmele perché non avevo più provato i sentimenti che le avevano suscitate. E c’erano pure parole nuove che da allora qualche volta utilizzo ancora.” Mai libro fu assimilato con tanta familiare avidità come quello in cui s’imbatte l’io narrante di Transito di Anna Seghers. Un libro nel libro, esempio memorabile di come la lettura sia capace di trasportare in altre dimensioni, addirittura far dimenticare i