Leggendo Lo sciame umano di Mark W. Moffett (Einaudi pag.563 euro 36,00) mi è venuto da pensare che il più democratico statunitense equivale a un sostenitore della destra europea.
Tipico esempio di marcatore
d’identità di cui si fa un gran parlare nel libro che vuole essere come recita
il sottotitolo: una storia naturale delle società.
Dove per “naturale” l’autore
intende “inevitabile”.
Esploratore nonché docente ad
Harvard, Moffett da biologo si guadagna il pane riflettendo sull’ordine della
natura. Anche se, a ben vedere, il termine “naturale” in biologia non esiste.
Parla di razza senza porsi
limiti, Moffett, addirittura, a pag. 208, secondo capoverso, scrive:
“Nondimeno, poiché sentiamo che le società e le etnie sono radicate nel
profondo (scorrono nel sangue)...”. Mentre in Europa chi scrive libri
scioglie quell’idea sanguigna in ben più responsabili ragionamenti, capaci di
annullare razze e razzismi, dagli Stati Uniti tutt’altro segnale. Transeat,
però…
Leggendo Lo sciame umano,
dedito a dimostrare comparando come le società umane siano molto simili a
quelle degli insetti sociali più che a quelle degli scimpanzé, ho sentito il
bisogno, dopo tanto determinismo, di una parola libera: libertà. Ecco allora
venirmi incontro Eguaglianza e libertà di Norberto Bobbio (Einaudi
pag.98 euro 10,00), trattazione scritta per l’Enciclopedia Italiana, due voci
per l’Enciclopedia del Novecento, uscite rispettivamente nel 1977 e nel 1978.
Anni bui, che facevano scrivere al senatore a vita: “Libertà, parola troppo
solenne per un mondo così dimesso e accontentabile, dove al posto
dell’intelligenza personale c’è la ripetizione, l’imitazione, l’adattamento,
l’accettazione incondizionata della logica del dominio.” Chi è il protagonista
di “quel” e questo mondo? Non certo il cittadino di Rousseau – costretto ad
essere libero –, ma la triste e trista figura del servo sublimato e
soddisfatto, in una parola “noi”.
Così riflettendomi nelle parole
di Bobbio, tornavo con la coda tra le gambe al poderoso volume sulle società
umane, all’avermi insegnato la differenza che fa dell’umana la specie più
imperialista. A partire dal nostro corpo, “società di tipo microbico”, la
differenza della nostra società è che per funzionare, non deve conoscere tutti
come gli scimpanzé, o non conoscere nessuno come le formiche, a noi basta
conoscere qualcuno. Pensate, api e formiche non conoscono nessuno
individualmente; per loro, conta solo la società, non l’individuo. Invece per
l’essere umano odierno le scelte individuali contano eccome; e alla formazione
di un “noi” e un “loro”, tanti marcatori d’identità e altrettante pagine. Dagli
animali all’Homo sapiens, quindi ai cacciatori-raccoglitori dove Moffett segna
il passo in quanto a divisione del lavoro: solito sguardo maschile, gli uomini
cacciatori e le donne, raccoglitrici spesso con pupo al collo da allattare.
Invece la scoperta del 2018 di un sito funebre con sepolta una donna cacciatrice
il cui arredo funerario non lascia dubbi, rimette tutto in discussione. C’era
più libertà per le donne e per tutti a quei tempi, 320.000 anni fa, ognuno
possedeva solo ciò che riusciva a portare con sé, poche cose, visto che i
cacciatori-raccoglitori erano divisi in bande nomadi. Graduale fu il passaggio
all’agricoltura, alla domesticazione del cibo, eppure – e qui Moffett ha un
sussulto quasi anarchico – non si capacita di come chi vivesse in bande
egualitarie fu pronto a lasciare l’etica della condivisione quotidiana per un
sistema diseguale: dalla massimizzazione del tempo libero, si convertirono al
desiderio di ottenere stima e potere, praticamente, alla disuguaglianza.
Ringalluzzita dall’aire di
Moffett, tornavo alle “voci” di Bobbio per bearmi della risposta a una domanda
importante: Cos’è la libertà? Il professore di filosofia politica non ha dubbi:
Il fine più desiderato dall’uomo. Libertà è uno stato, l’eguaglianza, un
rapporto. Libertà è un percorso, è il progresso dal regno della necessità al regno
della libertà. Anarchia è autodeterminazione a tutti i livelli e in tutte le
dimensioni. La bellezza di quest’utopia che fece convergere a un tratto molti –
di utopia come di bene comune non si parla più, perché? -, è che nella
tradizione libertaria, la libertà “è comunitaria e si attua solamente quando il
potere sociale è distribuito fra tutti.” Quei molti che videro l’anarchia come
tèlos della storia, videro contemporaneamente che libertà è non motore, ma
motrice della storia, storia di liberazione dalle catene. I socialisti della
prima e seconda maniera videro l’anarchia come la meta ultima dell’evoluzione
sociale.
“L’autostima di una persona
raggiunge il massimo quando trova un equilibrio tra un senso di inclusione e la
propria unicità”: così Moffett s’approssima a una considerazione che vista da
vicino sembra un’eventualità ancora possibile partendo dalla vita dei
cacciatori-raccoglitori: le particolarità e i legami sociali personali
bastavano a far sentire tutti unici in una società di centinaia di individui.
Chiaro? Eravamo socialmente più evoluti all’inizio: niente proprietà privata,
nessuna tesaurizzazione intendendo la Terra un giardino sempre a disposizione, eravamo
più attenti all’altro e più autonomi. Tutti in una banda – fino a massimo 12 individui
di diverse generazioni –, tutti sapevano fare tutto.
Se volete scoprire come danzano
le api per segnalare i fiori alle compagne, come l’unica carriera specializzata
era quella dello sciamano (sic!), come la ghiandaia dei pini riesca a essere
più monogama dell’uomo, come l’ape cartonaia sia dotata di riconoscimento
facciale, come i delfini insegnino ai piccoli le tecniche di pesca, è il libro
che fa al caso vostro. Anche se volete avere a che fare con altri antropologi e
sociologi e biologi ché Moffett è fedele alla dedica del libro, fra gli altri e
in primis al suo mentore Edward O.Wilson “per i decenni a costruire
collegamenti fra le scienze”: ecco, in nove parti, Moffett tenta uno sguardo
totale, con oscillazioni di pensieri e ipotesi ritmati da altrettanti esempi
tratti dal mondo animale.
Quanto alle “voci” di Bobbio, un
ottimo timone in tempi di pandemia e perdita della trebisonda.
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