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Visualizzazione dei post da novembre, 2020

L'Orma - Dickens Van Gogh Wilde

  Volete fare un regalo utile e inutile insieme? Davvero trendy? Leggero, ecologico e culturalmente valido? Prendete uno degli ultimi pacchetti de L’orma editore, tre giganti: Van Gogh, Dickens e Wilde. Costano sette euro l’uno, possono essere spediti nella buca delle lettere dopo l’affrancatura a 1,50 euro, la via più semplice; o se vi capita di stare alla posta, con piego di libri spendete 1,25 euro. Sono lettere, carteggi, fogli di fronte cui essere come si vuole, tendenzialmente sinceri. Sincero era Van Gogh, quando scriveva di Dickens all’amico Van Rapperd: “Non c’è un altro scrittore che è pittore e disegnatore come Dickens. Le sue figure sono resurrezioni.” Lo racconta Massimiliano Borelli, curatore del gigante inventore di Pip e Oliver, David, quel Charles di cui “basta citare il lemma dickensiano”, per vedersi immersi in fumosi vicoli londinesi di metà Ottocento, o strade grigie topo dove s’aprono fabbriche rumorose. Viveva nell’incubo di tornare povero come agli inizi, il b

Scusa se non sono abbastanza

  Avete mai pensato a non pensare? Avete mai provato a volere bene anche a chi non ve ne vuole? A spezzare cattive catene? Già solo il fatto che vi sia passato per l’anticamera del cervello, è buon segno. Significa che vi state educando, attività che non finisce mai; l’autoriflessione essendo, la cosa più utile di tutto l’Umanesimo. Scusa se non sono abbastanza è titolo editorialmente infelice per un libro fragrante come il pane appena uscito dal forno, un libro sulla felicità. Libro che lo dice, lo ridice, a tratti quasi lo grida: la filosofia sia praticata a scuola, da tutti, dalle elementari alle superiori. Scritto da Raffaele Mirelli, filosofo napoletano di trentanove anni con tanto da dire ed esempio d’invidiabile ars brevis: si fa bastare cento pagine; a pubblicarlo, ci ha pensato Castelvecchi a settembre scorso. Libro dichiaratamente elaborato e scritto durante la “sessantena”. L’occasione è immaginaria e non lo è. Lo è per costruzione, avendo due cornici, una d’invenzion

Il pozzo e l'ago - Intorno al mestiere di scrivere

  No, non è un manuale, l’autore lo nega a più riprese; sì, è un libro utile e bello, bello assai. Il pozzo e l’ago è un viaggio meraviglioso intorno al mestiere di scrivere; per Einaudi lo ha pubblicato Gian Luigi Beccaria, linguista e filologo, “studioso dello stile” recita la quarta di copertina. È un libro che ho letto avidamente e subito ricominciato non appena finito. Si è fatto leggere, per ora, due volte in un mese. Lo terrò accanto. Mestiere lento, lo scrivere, conta il talento ma ancor più l’ostinazione, la ricerca. Manzoni dedica quasi una vita a fare e rifare I Promessi sposi . Lo scrittore è un artigiano paziente, ché scrivere, al contrario di quel che si crede, non è lasciarsi andare, è fatica controllata. Un artigiano – Proust sosteneva che uno scrittore attende a un’opera come una sarta cuce un vestito, lavorando in modo incessante, meticoloso, costruttivo –, un artigiano dalle mani d’oro, come quelle di Elsa Morante che scriveva sempre a mano. Ancor più lavora d

Frammenti di antropologia anarchica

  Nostra patria è il mondo intero, nostra legge è la libertà ed un pensiero ribelle in cor ci sta: è il ritornello di una canzone scritta dall’anarchico Pietro Gori alla fine dell’Ottocento e riportato in vita da una grande artista, Caterina Bueno. Sì, torno a parlare di anarchia. Lo spunto l’offre un piccolo ma problematico libro – nel senso che apre innumeri questioni – stampato a settembre dall’amata Elèuthera: Frammenti di antropologia anarchica di David Graeber nato a New York nel 1962 e morto quest’anno a Venezia. Antropologo e attivista politico, Graeber in primis si chiede come mai all’interno dell’accademia ci siano così pochi anarchici e avviando un’analisi comparata marxismo/anarchismo, nota come disciplina accademica e politica marxista si siano sviluppate all’unisono. Il che ha portato non solo “contributi salutari” come l’idea che l’accademia esista in quanto riferimento morale, e che al suo interno si creino questioni importanti per la vita delle persone, ma anche di

La vita sensibile

“Senza resto” è locuzione avverbiale che ricorre spesso ne La vita sensibile di Emanuele Coccia, quasi a voler dichiarare che la sua è filosofia che non fa prigionieri. Scrive chiaro il filosofo “maitre de conférences” all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi: un libro che letteralmente mi ha fatto saltare sulla sedia riportandomi alla lettura giovanile del Trattato delle sensazioni dell’abate di Condillac. Pubblicato tra i Saggi dal Mulino nel 2011, La vita sensibile si divide in due parti – Fisica del sensibile e Antropologia del sensibile -, e si dà due compiti: indagare l’esistenza del sensibile, e studiare i modi in cui l’immagine e il sensibile danno corpo alle attività spirituali e danno vita al suo stesso corpo. Dacché Cartesio negò autonomia ontologica alle specie intenzionali, la filosofia dorme un sonno dogmatico e questo libro è una sveglia simil acqua gelida in faccia al dormiente. Per una volta, un filosofo si pone senza pregiudizi di fronte alle imm