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Visualizzazione dei post da gennaio, 2021

La follia di Holderlin

Occhi dolcissimi, limpidi e profondi tanto da essere fermi: fronte naso bocca, morbidi e sensuali non senza il pudore di chi è innocente. Aveva ventidue anni Friedrich Hölderlin quando Franz Carl Hiemer lo ritrasse, era il 1792. Allora, il poeta di Iperione e di Empedocle e tante altre opere altrettanto meravigliose, era considerato per i suoi talenti, uno dei più fulgidi ingegni di Germania, d’Europa. Talenti onorati da uno studio continuo dal traduttore di Sofocle che teorizzò come chi traduca debba farsi calco e clorofilla. Hölderlin, che sintetizzò la tragedia facendola “=0”. Uomo così sensibile che finì o si fece pazzo, questo il dilemma su cui fa luce Giorgio Agamben con “La follia di Hölderlin”, 241 pagine di “Cronaca di una vita abitante 1806-1843”. Libro con una cronaca doppia, almeno fino al 1809 – cronaca del mondo, da cui spiccano Napoleone e Goethe (quest’ultimo, agli occhi chiari del poeta svevo di Nurtingen, gli aveva impedito l’ingresso da docente all’Accademia e pertan

Benvenuta vita!

Come crisalide – ma che vita che vita se... – m’avvio all’ennesima metamorphosi. Non moritura né moribonda, ma viva senza più minaccia di lì a breve non essere più. Cinque anni all’ombra di una chiamata di lì a breve che non arrivava più. Non arriverà così, la fine. Il fine rimane tale e quale, vivere! Un fine cui s’aggiunge ancora strada che a dirla tutta non avevo manco chiesto.   Malcerta Euridice, al saperlo . Ora è tempo di digerire il mio destino, ancora una volta. E’ tempo di rinverdire sogni da sognare, desideri da soddisfare. E’ tempo ancora di avere tempo e non darsene. Darmi da fare piuttosto, come al solito. A bientot!

I filosofi parlano di felicità

  Vent’anni fa assistetti al ritorno a teatro dopo trent’anni di Alejandro Jodorowskij che approdò insieme a tutta la famiglia nell’isola dei Sardi con “Opera panica”.  In quella pièce di tante pièce a un tratto andò in scena l’essenza dell’evoluzione della nostra specie: su una fila di sedie fronte al pubblico, i figlioli Jodorowskij – Adan, Cristobal e Brontis –, mimavano il progredire: dall’uomo di Cromagnòn a fare con successo due più due. Fin lì tutto bene, si viveva in odor di felicità finché il troppo, come si dice, non storpiò. Non appena gli esemplari di uomo si diedero al pensiero, e poi al pensiero del pensiero del pensiero, cominciarono a dare segni di malessere e di profonda infelicità. C’è un limite a tutto, un limite oltre il quale il piacere si tramuta in dolore.  Lo seppe per primo il grande Epicuro che nella Lettera a Meneceo del III secolo a C, meglio nota come Lettera sulla Felicità, disse qualcosa di definitivo. Talmente immutabile e perciò lapalissiano, che la nos