Essere chiamato a dare un senso (a
quel che un senso ce l’ha in una chiamata cui siamo tutti tenuti a rispondere),
non dev’essere stato per nulla facile. Un senso a questi giorni implica
una lettura a cuore aperto, non stretto da paura, pieno di responsabilità e
cura, cura di sé e dell’altro. A ben pensarci, questa pandemia potrebbe essere
intesa come una chiamata all’adultità, maggiore età che difetta al mondo.
Viene in mente leggendo questo
libriccino, conversazione tra un professore che quando parla illumina la
pagina, Ivo Lizzola, e un giornalista, Pierluigi Mele che per Rainews24 cura un
blog di interviste, Confini.
Lizzola, ordinario di Pedagogia
sociale all’Università di Bergamo, cita Simone Weil a memoria: “Sembra di
trovarsi in un’impasse da cui l’umanità possa uscire solo con un miracolo. Ma
la vita è fatta di miracoli.”
Era il 19 marzo e Lizzola
rispondeva a nove domande confluite in un libro di appena trentaquattro pagine
ma piene di luce, grazie ai tipi di Castelvecchi.
Miracolo, si diceva: e che
altro, se non un miracolo è riposto nella certezza di una carezza, carezza di
medico o infermiere, nel passaggio che spaura, una carezza per un proprio caro.
Miracolo la volontà di vivere di
fronte alla pandemia, di ricominciare ad avere cura già solo col rispetto. Alla
“cura” Lizzola ha pensato e ripensato, elaborando un’etica che coinvolge tanta
umanità: dai drop out ai carcerati.
Lui sa, conosce le “realtà umane
e sociali dove non si può che provare a vivere, nei margini e nei vuoti dei
paesaggi interiori, nelle fratture esistenziali.” Conosce i sommersi e, forse,
nutre pena per i salvati, con il loro inconfessabile senso di colpa.
Ragiona su quel che è, Ivo
Lizzola, s’immerge nella realtà benché dolorosa, e ne ribalta il senso, e così
lenisce le nostre ferite. Ecco allora che il burocratico distanziamento diviene
profondo legame.
C’è ancora tempo per
l’attenzione a chi stiamo diventando, c’è spazio per gli sguardi in luogo di
abbracci, forse è il tempo del donarsi, della riconoscenza.
Parla dei e ai suoi studenti e
studentesse, giovani che nei terribili giorni di marzo, si sono donati ai più
fragili con gesti quotidiani, buoni come il pane.
Considera che sì, si muore sempre
soli, ma poi vista da vicino quella solitudine somiglia alla povertà, ennesimo
capovolgimento: si muore sempre poveri. E riecheggia il canto di michelstaedteriana
memoria, quello delle Crisalidi che dice: “Vita, morte, la vita nella morte.
Morte vita, la morte nella vita. Ma che vita che vita se la morte a vivere non
ci aita?”
S’interroga su Dio, su dove si
sia nascosto: e con Michel De Certeau, sostiene che la “debolezza del credere”
può incontrare la tormenta dell’oggi.
C’è da ritrovarsi in povertà
“esteriore e interiore”, qualcosa di decente; e con coraggio ammettere che il
sentimento del futuro ce lo eravamo già giocati nella festa del “consumatore
globale”, qualcosa d’indecente.
Ora la politica deve pensare
alla vita “a partire dalla salute e a una convivenza che la curi, la coltivi,
la faccia fiorire. (…) Serviranno politici capaci di essere umili, con il senso
della realtà, capaci di visione e di ascolto, capaci di richiamo e
orientamento. Testimoni e con cura genitoriale.”
E ancora: “Ci vorranno adulti e
giovani adulti capaci di aver cura del futuro di altri, capaci di tenute
intergenerazionali, di promesse e fedeltà, di custodia e coltivazione. Capaci
di un forte senso di fraternità e sororità, di genitorialità. Con grande senso
dell’obbligazione”.
Si chiudono, queste pagine
luminose, ancora con Simone Weil, quando Lizzola, chiamato a dare un senso,
s’appella al beneficio del sentire: “Dobbiamo ancora pensare, meglio, sentire
l’esperienza che la vita sta disegnando dentro di noi, tra noi del nostro
tempo. Fare attenzione: lo dobbiamo esigere.” Per la Weil, ogni errore era
errore dovuto a disattenzione, oltre l’oltranza della cura, a lei
complementare, l’attenzione, su cui, la vergine rossa, interrogandosi, così si
rispondeva: “Che cos’è la cultura? Educazione all’attenzione. Anzitutto
attenzione allo sventurato.”
Ci sono esperienze che possono
essere risvegli, questo libriccino, a suo modo, lo è.
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