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Esercizi di stocastica

Respirare con la pancia, si consiglia l’orizzontalità, ma se non si può, anche da seduti, piedi a terra. Il gioco è a non identificarsi, gioco di straniamento, sennò meglio Topolino.   “Nuoro è un colabrodo”, dice quella signora che vorrebbe parlare e non vorrebbe, “Sì, aggiunge, fa acqua da tutte le parti.” Avrei voluto chiederle delle falde, se quella sentita in Piazza Satta, e scorre sempre, lo fosse, se quella in Santu Predu pure; avrei voluto chiederle se fosse acqua persa o da trattenere, avrei voluto chiederle tante cose, ma è fuggita via prima che potessi parlarle, sì, fuggita via mentre le parole si perdevano nell’afa. Riu Grùmene? Riu Mughina? S.Logo? Cedrino? Acqua comunque ce n’è, mi chiedo se sia sempre preziosa per tutti Scorre come fiume, a monte il futuro, a valle il passato. Come fiume scorre la vita, in città. Tante voci, e penso a un amico romano, ogni mèta prevede la visita al cimitero, “ché i morti continuano a parlare, sai?” Secondo lui, una visita al
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  “Certi uomini vivono per i soldi, certi bastardi per il potere”: così canta Francesco Bianconi, e così m’è dato d’accorgermi dacché sono in cammino, tanto tempo.  Sono una sradicata atipica, non sradico, bensì dove vado offro cultura, alta.  Alta perché universale, accessibile a chiunque abbia mente e cuore ancora vivi e parlare con arte ai vivi, è la mia ragion d’essere. Vivo in Sardegna, di cui soffro il mal, da quarant’anni, ma a singhiozzo, ossia vivendoci a lungo e tornando a lungo nella mia città natale, Roma.  Da un anno sono tornata nell’isola dopo quasi vent’anni, anni bui durante i quali ho assistito alla gentrificazione di Roma.  Da un anno, in Barbagia, prima a Tonara, da marzo invece a Nuoro, città incastonata in una natura mozzafiato, città cui ho chiesto la residenza, un po’ controtendenza.   Già, perché da qui chi può scappa: perché? Non ho una risposta solo tanti forse, ma non è mia abitudine parlare a vanvera.  Di sicuro, però, so da dove vengo, una metropoli diffic

Heidegger e Michelstaedter

  ­Così come non c’è dio, neppure l’oggettività: non stanno né in cielo né in terra. Se con me finisce il mondo, sarà bene conoscere se stessi. Se la vita non è vita, se per vivere occorre morire, c’è chi al bivio sceglie la durata, il morir vivendo, e chi no. Carlo Michelstaedter a ventitré anni era già sulla via della persuasione, solcata prima di lui da non molti giganti che però parlarono forte e chiaro. Del giovane goriziano ritenuto il più bel frutto della filosofia italiana del Novecento, si torna a parlare grazie a Thomas Vasek, scrittore di un’inchiesta filosofica tesa a dimostrare la quasi identità tra il pensiero di Michelstaedter e l’Heidegger di "Essere e tempo" del 1927. Dimidiate Michelstaedter nell’inchiesta filosofica Heidegger e Michelstaedter , in libreria grazie a Mimesis, «dimidiate» ché dell’opera sua Thomas Vasek prende in considerazione solo la tesi di laurea “La persuasione e la rettorica” e benché citi una, due volte le Appendici di questa, lì

Filosofia della casa

  Come essere felici insieme agli altri, qui e adesso: sta scritto in seconda di copertina di un libro che in quarta si definisce “prodigiosamente pop”: Filosofia della casa di Emanuele Coccia promette nel sottotitolo nientemeno che Lo spazio domestico e la felicità. Subito viene da pensare a chi una casa non ce l’ha, eventualità aborrita dal filosofo che sì, arriva a vedere l’oscenità di una vita che coincida con lo spazio urbano, vita vulnerabile, esposta alla morte, sì, ma poi mette punto e comincia la sua esperienza di trenta traslochi nel mondo che lo hanno portato ad abitare case dalle più economiche alle meno. Il clochard resta muto e indietro, inizia il Gran Tour e tra camere e corridoi, cose di casa, bagni, spuntano armadi con dentro i vestiti grazie ai quali ci si porta addosso un po’ di casa quando si esce. Pagine per parlare di moda ma non c’è traccia di Leopardi, del Dialogo tra Moda e Morte, ma c’è citato Georg Simmel, colui che parlò di “stile di vita”, colui che avre

Le Parole e le Bestie

  Quando non si ha paura delle parole, quando si riescono a schivare le pietre, si deve andare fino in fondo. Potevano essere due libri davvero, lo sono se non per il titolo: Le parole e le bestie – quasi un abbecedario…anzi due è libro fatto a sei mani, due donne un uomo. Barbara Bizzarri si fa carico delle parole e Gianni Priano delle bestie, Simona Ugolotti illustra con colori e visioni. Libro rivoltoso, nel senso che a rivoltarlo da una parte s’incontra l’autrice, dall’altra l’autore: al centro si vedono le foto, le grafie e le biografie. Lei, Barbara, classe 1965, è insegnante e antropologa, raccoglie le “ultime sopravvivenze” del mondo contadino – la Bassa Mantovana -, “indagando cultura materiale, riti e il senso di un universo femminile.” Lui, Gianni, classe 1962, è insegnante, poeta, narratore, già autore con pentàgora, casa editrice cui piace pubblicare solo libri in nome dell’innamoramento all’unanimità. Libri talmente sinceri, anche nel prezzo abbordabile, da non amm

Cri le, femme!

  Il popolo ha fame, continuiamo ad avvelenarci le brioches, o volete dargli pane? E siccome vuole anche companatico, dovremmo imparare tutti a chiedere quando non si sa, e non giudicare superficialmente, a priori.  Osservando il mio prossimo, a priori dicevo “mmh” e non esprimevo goduria, ve l’assicuro. Col senno di poi, meglio una cento mille battaglie perse che una vita da ignavi del posto sicuro. Una vita della rispettabilità. Del conformismo, problema mentale di tanti che aspirano a una lotta schifosa come sentono, probabilmente.  La mia inadeguata affermazione d’individualità è casuale, dovuta a ignoranza, ma non delle vostre regole da maschi alpha – privativo, aggiungo io -, quelle per trasgredirle bisogna conoscerle. No, l’ignoranza della tecnologia da parte mia: stanno meritando l’oblio alcune mie creature teatrali nate dalla testa e non, credevo che metterle nel cassetto di faccialibro fosse un posto sicuro per proteggerle dalla damnatio memoriae, le ho davvero caricate solo

La femminilità, una trappola

Cosa può la letteratura? A chiederselo, Simone De Beauvoir, ora e ancora in libreria grazie all’edizione di 11 – un’ambassi -, scritti inediti dal 1927 al 1983 pubblicati da L’Orma che li affida a tante traduttrici, sotto il titolo La femminilità, una trappola , ma in inglese suona altrimenti Femininity, the trap . Per quanto la riguarda, donna libera, la filosofa fu pronta a combattere sui due fronti che le mise di fronte il caso: contro gli uomini riottosi a una relazione alla pari, contro le altre donne, supinamente acquiescenti al mito dell’“eterno femminino”. Mito inventato dagli uomini con il plauso delle donne che intruppano contro se stesse per prima cosa. Quando studiava alla Sorbona, Simone rimase sconvolta a sentire le ragazze dire con umiltà: “E’ un libro da uomini. Noi non riusciremo mai a venirne a capo”. Le prime ad esserne convinte, d’essere inferiori, erano proprio le donne, tanto da inverare la loro inferiorità. Come dire che all’inferno ci finisce chi ci crede. “La d