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Lusso Comune

 


C’è da chiedere a noi stessi un cambiamento radicale, procedere altrimenti da come si è andati avanti da settant’anni in qua (ma sarebbe più sano risalire ai dì del feudalesimo). Pena, l’estinzione dell’umanità. Si può ben dire che il momento è tragico: c’è un prima rimpianto eppure foriero di sventura, un adesso orribile che minaccia di non passare se non riusciremo a fissare il nostro errore – la follia del capitale – e acconsentire a salvarci cambiando radicalmente. Visione ottimista – fiducia nella capacità umana di cambiare-, che cuce la bocca a chi vorrebbe rassegnarsi in un laconico ormai.

Guardare al futuro rivolgendo lo sguardo ai più piccoli, ai bambini che questa pandemia ci ha fatto dimenticare insieme ai ragazzi, creature da considerare bene comune. Lusso comune – l’immaginario politico nella comune di Parigi è libro che risponde alle sterili polemiche da Espresso sull’inadeguatezza dei simboli scelti o toccati alla sinistra. Risponde parlando d’altro dalle mitragliate che falcidiarono i comunardi dopo settantadue giorni di autogoverno, risponde sottraendo alle storiografie di Stato e della sinistra la Comune, facendo luce su come fu possibile, su come agì nel pensiero dello stesso Marx e dei comunardi sopravvissuti in esilio.

Elisée Reclus, geografo, parlò di comunismo anarchico come Kropotkin, e nella sua opera più importante, la storia del mondo in più volumi, L’Homme et la terre, arriva, da forti convinzioni ecosocialiste, a dire che l’uomo non è che la natura cosciente di se stessa. Sapersi parte integrante del mondo, con piante, animali, sassi.

I comunardi reinventarono tutto in una logica precapitalistica, “chiedersi se questa può ispirare una comune postacapitalistica”, forme di vita comunitaria a partire dalla convinzione che il comunismo non è privazione, ma abbondanza, apertura e ricchezza. Una società senza padroni, non per titolo, discendenza o ricchezza, e senza schiavi per nascita, casta o salario.

Un’altra umanità, di compagni liberi e uguali, dimentichi dei vecchi vincoli, disposti ad aiutarsi l’un l’altro, in pace da un capo a un altro del mondo. Prima durante e dopo, la Comune offrì a uomini e donne di pensare insieme sfere che la borghesia teneva separate: città e campagna, teoria e prassi, lavoro intellettuale e manuale. Settantadue giorni d’insurrezione operaia che vide Parigi “esistenza operante”, i comunardi non avevano alcun piano per la società a venire, ma avevano idea di cosa non andasse nel presente e concretamente cambiarono trasformando la capitale di Francia in una città autonoma “la cui vita sociale venne ricalibrata secondo cooperazione e associazione.” Non crede, Kristin Ross, autrice autorevole del libro, che il passato possa dare lezioni, ma con Benjamin, crede in eventi capaci di essere rappresentativi del presente: così oggi la Comune. Sì, il capitalismo contemporaneo è simile alle condizioni di vita di operai ed artigiani del XIX secolo: “cercavano lavoro”. Così che il mondo dei comunardi è più simile a noi di quanto non lo sia il mondo dei genitori. Contro il “boa constrictor” come Marx chiamò lo Stato che strozza la viva società civile, quella stessa società viva per settantadue giorni visse come se dovesse trovare piacere in tutti gli aspetti della vita. Includeva tutti, a principiare dai più piccoli: si scrive crèches e vuol dire asili nido per bimbi dai 3 mesi ai tre anni, prima della scuola dell’infanzia. E’ invenzione comunarda, ereditata poi dalla terza repubblica, emanazione dell’idea che il percorso educativo s’intraprende per il bene di tutti. Il rispetto degli altri e la solidarietà non hanno nulla a che vedere con l’amore, una volta tanto non c’entra niente, l’eterno motore. Piuttosto, lo sperimentare come l’uguaglianza renda possibile l’individualismo. La Comune era di tutti, donne bambini contadini vecchi disoccupati: insieme si ripresero la vita.

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