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Il sapere mitico


 

Ototototoi popoi da: no, non sono versi da balalaika, non è russo. E’ greco antico assai, di più, è lingua d’oracolo, di matrice divina.

Una disperata invocazione ad Apollo da parte di Cassandra, sua sacerdotessa, una volta giunta con Agamennone ad Argo. Apollo, Apollo! Invoca la figlia di Priamo mentre muove verso la reggia intonando un lungo grido inarticolato. Un parlare oscuro e fra lo stupore di tutti profetizza quanto sta per accadere, la sua morte e quella del re per mano di Clitennestra, comprese le disgrazie che colpiranno la discendenza degli Atridi. Fin lì era restata muta, sorda agli inviti a scendere quale schiava dal carro, da far pensare che non fosse in grado di comprendere la lingua greca. “A meno che – ipotizza Clitennestra feroce per il sacrificio di sua figlia Ifigenia -, non parli un’incomprensibile lingua barbara…” Già, oi barbaroi, coloro che fanno bar – bar, parlano cioè in modo confuso, balbettando: così nell’Orestea Eschilo rammentava il mito di Filomela, stuprata da suo cognato Tereo che per non farle rivelare il misfatto le tagliò la lingua e lei fu trasformata in rondine. Agli antichi piaceva credere che la voce del volatile fra i più monogami, esprimesse il tentare invano di Filomela di esprimere il nome del suo carnefice. Quasi seicento pagine da leggere come più vi aggrada, tutte d’un fiato o mito per mito, seguendo una mappa culturale del mondo greco e di quello romano.

Il sapere mitico – Un’antropologia del mondo antico è libro della Piccola Biblioteca Einaudi curato da Maurizio Bettini che – udite udite - scrive un’introduzione come dev’essere: appena quattro pagine. Breve ma invogliante: miti ma non sic et simpliciter come nel sempre lodato Graves, ma letti e raggruppati secondo categorie culturali profonde – L’essere umano, L’individuo e la collettività, Il genere, La parentela, Il mondo minerale, vegetale e animale, Il divino e la religione, Produrre, scambiare, consumare, La salute e la malattia, Lo spazio e il tempo, La comunicazione. Dieci argomenti che non sacrificano nulla dei racconti, anzi, offrono al lettore due opportunità: di immergersi nei noti e nei meno noti tra i miti che Grecia e Roma – saldamente comparate – ci hanno lasciato, e la seconda chance è di esplorare i cammini della cultura che le ha generate.

Racconti che narrano e contemporaneamente parlano, ecco la materia sostanziale di questo libro preziosissimo. Al quale hanno collaborato innumeri studiosi, donne e uomini e tutti vorrei menzionare, ma questa breve recensione si trasformerebbe in un lungo e pesante elenco. Piuttosto è interessante, fare caso alle differenze, non solo tra Grecia e Roma, ma anche con l’oggi. Nella sottocategoria Stati patologici si legge del noto mito di Pandora che sorvolo, ma assai istruttivo è l’accenno al teatro che si trova a pag 413: “Le descrizioni più vivide di ammalati compaiono nel teatro tragico: qui i grandi personaggi del mito mostrano il loro dolore fisico e psichico, il loro corpo dolente viene esibito sulla scena, la loro mente sconvolta offusca le parole e devia le azioni. La sofferenza dell’eroe è sempre connessa al volere divino: a volte l’infermità è inviata dagli dèi come punizione, altre volte si tratta dell’odio di una divinità verso un essere umano…E tra gli dèi sono soprattutto Dioniso ed Era a provocare la follia.” Fin qui niente di nuovo, ma più avanti è sottolineato un elemento comune tra folli del mito e pazienti ippocratici – la medicina del V sec a.C. attribuiva l’alterazione della ragione ad altre malattie, oggi purtroppo la psichiatria l’attribuisce a un difetto genetico (sic!) da “curare” a suon di psicofarmaci -, l’elemento in questione è che la follia è uno stato transitorio, che passa. “Elemento, questo, essenziale per cogliere un dato etico-sociale, cioè la non stigmatizzazione dei folli, che avrebbe comportato il loro isolamento.” A queste parole seguono esempi di follia femminile come Agave, l’amata Fedra e la vergine violentata, Io: tutte accomunate da una profonda alterazione delle regole sociali condivise.

Se nell’antica Grecia la follia era uno stato passeggero, per noi è, una volta insorta, permanente e lo stigma, cioè il marchio d’infamia, non si lava mai.

Ecco una differenza che non ci fa certo onore. Proprio vero che spesso gli animali ci superano in quasi tutto, così come nella leggenda divenuta mito dello schiavo Androclo o Androcle e del leone, raccontata per primo da Apione nelle Meraviglie d’Egitto. Riscalda il cuore.


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