Compenetrarsi è il sogno di
tutti gli amanti, non capita a tutti però, almeno non così intensamente come a
La e Pa, sposi per quarantatré anni, insieme finché morte non venne a portarsi
via Pa, otto anni or sono.
Senza di
Lanfranco Caminiti è dolore che parla per dirla con Soren Kierkegaard, un libro
che nella copertina bella bella – una finestra che si apre su un mare piatto -,
porta scritto “romanzo”, ma aprirlo a qualsiasi pagina reca in dono al lettore
verità distillate.
Dolore purificato non addolora,
non muove a compassione, libera tenerezza semmai, addolcisce i cuori, anche
quelli ridotti a un “grosso bubù” come pensa Clov di Beckett.
Per riuscire in questa immane
impresa – spesso i cuori dei lettori non sono più vivi -, l’autore non ricorre
a nessuno stratagemma, non c’è trucco, riesce con forza altrettanto immane a
essere sincero, di una sincerità a fin di bene se la vita lo è. Il che non
esclude beninteso la finzione, ciò nonostante la supera, va oltre.
Scende negli inferi dei ricordi
La: lei che sorride, lei che legge, lei che si veste, lei che cammina sulla
spiaggia. E ancora, le sue pietruzze, le sue conchiglie, i cosmetici, i
vestiti, il suo profumo. Ecco, qui il dolore sordo ai richiami del mondo, il
dolore di un ferito a morte, trova eco in quello dell’Orfeo di Rilke: Lei così
amata che più pianto trasse/ da una lira che mai da donne in lutto.
In Senza - appena una
preposizione semplice opposta all’avverbio insieme – la lira del poeta è la
penna di La che in assenza di lei, nel corso del tempo, inizia a scrivere a
mano, a mano prende appunti, finché un giorno maturo, non apre il computer e
quegli appunti li travasa, ecco il libro.
Cento trentuno pagine per
parlare con lei a tratti – rivolgendole domande impossibili -, a tratti
parlando fra sé e sé ma sempre da par suo, di una lucidità inarrivabile.
“Cosa avrei dato in cambio per la
sua vita? La mia, di sicuro, senza esitazione”: c’è da credergli a occhi
chiusi, come quando si guarda dentro per dire che sì sarebbe voluto scomparire
anche lui, ma il suicidio non è nelle sue corde e d’altronde levar la mano su
di sé, a ben vedere, la leva chi per desiderio di più vita si dà la morte. La,
invece, è svuotato: la sua pienezza era lei, Pa così amata.
Dice Gurdjieff che le anime a
volte esitano a lasciare questa terra, così lei, riapparsa un giorno ai suoi
occhi, lei alla quale Lanfranco Caminiti affida le ultime parole appena
sussurrate prima di svanire: Fai con calma, ti aspetto. Grazie a minimun fax per
la cura.
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