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La spirale del sottosviluppo - Perché (così) l'Italia non ha futuro

 Italia, questa bella addormentata, rischia di non svegliarsi in tempo. E’ tardi, ma non ancora troppo per avere un futuro.

Un libro pieno di dati, rapporti e ricerche, di cose (troppe) che non vanno e proposte perché vadano meglio. La spirale del sottosviluppo è uscito a maggio nella collana tempi nuovi di Laterza, a scriverlo, un professore di sociologia dell’Università di Padova, Stefano Allievi che da tanto si occupa di immigrazione. Anche in questo suo ultimo lavoro, dove però analizza il fenomeno insieme a demografia, emigrazione, istruzione e lavoro, per renderci un quadro realistico e complessivo.

Quadro sconfortante, non c’è un solo dato positivo che riguardi il nostro paese e tra i tanti primati negativi, basterebbe ricordarne uno solo: fra tutti i grandi paesi europei, dopo la grande crisi del 2008, l’Italia è l’unico che si è impoverito. Tutti gli altri hanno recuperato, noi no.

Perché? Perché ci stiamo spegnendo goccia a goccia come una candela? Manca una visione e relativa volontà politica e dibattito pubblico, Allievi non si stanca di dircelo, come che siamo un paese adagiato sul passato anziché proiettato al futuro: siamo al diciassettesimo posto in Europa per spesa pubblica legata alla famiglia e al primo per pensioni di vecchiaia e reversibilità.

Insomma, un paese più di pannoloni che di pannolini; e si sa, i bimbi non votano, men che meno quelli mai nati. Badanti e colf, mestieri da immigrati ormai ché noi non vogliamo farli, ci servono come l’aria, ma di una politica dell’accoglienza neanche si parla e gli sbarcati, nonostante siano una quota minoritaria, monopolizzano la discussione sul tema dell’immigrazione.

“In Italia l’accoglienza è stata percepita come un fastidio e un costo: si è fatto quasi nulla su conoscenza della lingua e cultura e formazione professionale, e quel poco che si è fatto lo si è cancellato con i Decreti sicurezza del 2018 e 2019 (…) Più che di miopia (basterebbe fare come la Germania della Merkel), è il caso di parlare di cecità assoluta non disinteressata anzi voluta da una certa politica per dare in pasto alla pubblica opinione un facile capro espiatorio.” Eppure complessivamente il PIL prodotto dagli immigrati è del 9% pari a 139.330 milioni di euro: gran parte dell’agricoltura e dell’allevamento vive grazie a loro (ce ne accorgiamo solo in caso di clamorose denunce di sfruttamento, pagati 3,80 euro l’ora, ammassati a vivere in 20mq!). “Dal latte ai derivati, anche quelli di prestigio, che fanno il made in Italy, come parmigiano o grana padano, lavorati dai sikh della pianura padana, ai braccianti protagonisti delle raccolte stagionali di tutto ciò che finisce sulle nostre tavole.” Tavole sempre più povere visto che la condizione di povertà assoluta riguarda il 5,3% delle famiglie italiane, ma il 27,8% delle famiglie straniere. Indice di un’economia malsana, quelli che lavorano sono meno di quelli che non lavorano e, caso unico in Europa, nonostante tutto siamo una “società signorile di massa” che a ben vedere si basa su una “infrastruttura paraschiavistica.” In coda quasi in tutto confrontandoci con i paesi dell’UE e dell’OCSE, compresa la felicità percepita ché non basta la bellezza delle città d’arte o del patrimonio naturale. Il 69% degli italiani è convinto che la mobilità sociale sia bloccata, il 63,3% degli operai dispera di restare per sempre nell’attuale condizione e il 63,9% degli imprenditori e dei liberi professionisti “teme di scivolare verso il basso. Il mood più diffuso è questo e descrive il paese.” Questo prima del Coronavirus, figuriamoci ora. Un paese che negli ultimi trent’anni ha visto ben 10 punti del PIL passare dalla remunerazione del lavoro alla remunerazione del capitale. Per non parlare dell’evasione fiscale, 109 miliardi di euro: il tanto a mettere in sicurezza il bilancio dello Stato, “e più o meno quanto gli italiani si giocano ogni anno, tra slot e lotterie”, in tutto 106 miliardi con una crescita che ha dell’incredibile.

Sarà che in attesa dell’eredità, il livello più alto in Europa, ci giochiamo la sorte. Ma nessuno si salva da solo e se continuiamo a credere a leggende spacciate da realtà dai media e dalla politica che urla (crediamo, per esempio, che gli immigrati siano il 30% della popolazione mentre sono uno su dieci, e ancora, crediamo che gli irregolari siano la maggioranza mentre sono un decimo degli immigrati), non riusciremo a svegliarci da un sonno che ormai sa di coma profondo. Occorre reagire su molti piani, non solo economico, industriale, sociale, culturale, ma anche morale. E’ indice di scarsa moralità il fenomeno dei NEET, coloro che non lavorano, non studiano né sono impegnati in attività di formazione: un fenomeno che riguarda 2 milioni e 200 mila ragazzi e non! Se poi ci si aggiunge che il tasso di occupazione giovanile è il più basso della UE, la percentuale di contratti atipici è la più alta d’Europa, così come l’età di uscita da casa e quella del primo figlio, che mancano ammortizzatori sociali se non si è firmato almeno un contratto e che c’è uno spreco di talento femminile che grida vendetta, “diventa pleonastico domandarsi perché tanti giovani decidano di andarsene da questo paese.” Tra il 2014 e il 2019 oltre un milione di italiani si è trasferito all’estero; un dato sottostimato ma già impressionante se si pensa che è come se fosse sparita la città di Napoli e che la grande Londra con i suoi 600 mila italiani compresi nei 34 anni è la sesta città italiana per numero d’abitanti. A riprova che non si tratta di semplice ricerca di un lavoro che non c’è, ma di migliori opportunità, il dato che le regioni più ricche e produttive sono ai primi posti per emigrazione. Il livello d’istruzione degli italiani che migrano è alto, non a caso si parte perché non si trova un lavoro adeguato qui, quindi non per “fame” “ma con legittimo desiderio di migliorare la propria condizione”, esattamente la stessa spinta che porta gli africani da noi. Un’emigrazione come voto di protesta “contro la cultura e la politica, non solo l’andamento del mercato del lavoro.” Un’emigrazione paradossale ché non produce rimesse verso il paese d’origine, semmai il contrario, e la perdita di capitale umano è stimata in 14 miliardi di euro l’anno, 1 punto del PIL.

“L’Italia ha due saldi fortemente negativi: quello demografico (più morti che nati) e quello migratorio (più emigrati che immigrati). Oggi queste due tendenze si sommano provocando un corto circuito drammatico”.

Mi fermo qui, tanto ci sarebbe da dire ancora, sulla desertificazione del povero Sud, sullo spopolamento, sulla scolarizzazione, sull’università e la ricerca. Rimando alla lettura di questo libro importante assai che si trova in libreria a modico prezzo, dove troverete soluzioni ai tanti danni di una opinione pubblica pilotata da una politica urlante che spesso ci fa cadere nell’errore di credere “che chi urla più forte sia anche rappresentativo di una maggioranza che è invece, come spesso le persone serie, più taciturna.”

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