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Il mutuo appoggio un fattore dell'evoluzione

Non è raro, com’è capitato a me seduta sotto il pergolato di un bar, vedere due passeri in ricognizione di briciole: uno più scaltro beccava anche per l’altro pigolante e meno intraprendente. Praticamente l’uno nutriva sé e l’altro.

Sono rimasta a bocca aperta non tanto per il fatto in sé, quanto perché da lì a un paio d’ore avrei terminato di leggere un libro fondamentale nel senso che dovrebbe essere alla base delle conoscenze di ciascuno: Il mutuo appoggio un fattore dell’evoluzione. Petr Kropotkin, sì proprio lui, l’anarchico, ne è lo splendido autore nella sua veste altrettanto preziosa di scienziato non conforme. A dare alle stampe, in una nuova traduzione tutta italiana, a cura di Giacomo Borella, è una casa editrice attenta a non sbagliare un colpo, elèuthera.

La coincidenza dei due passeri mi dà agio per partire là dove parte Kropotkin, dall’osservazione, con una messe incredibile di esempi, dell’aiuto reciproco nel mondo animale per poi proseguire col mondo degli uomini.

Partenza in quarta stando alle formiche: ma lo sapevate che la caratteristica fondamentale, o piuttosto l’obbligo per ogni formica è il fatto di condividere il proprio cibo, già inghiottito o in parte digerito, con ogni membro della comunità che lo richieda? “Se una formica che ha il gozzo pieno è stata tanto egoista da rifiutarsi di nutrire una compagna, essa sarà trattata come una nemica, o ancora peggio. (…) E se una formica non ha rifiutato di nutrirne un’altra appartenente a una specie nemica, essa sarà trattata da amica dalle compagne di quest’ultima”. Dall’osservazione delle formiche – al vertice dell’intera classe degli insetti -, il cui cervello, stando a Darwin “è uno dei più meravigliosi atomi di materia del mondo, forse ancor più del cervello dell’uomo”, si può dire che il mutuo appoggio ha preso il posto della lotta a ogni costo.

E’ che la vita in società nel mondo animale è la regola, legge di natura e raggiunge il suo acme nei vertebrati superiori. Tutto sta che siano socievoli, cioè avvertano il bisogno d’associarsi con i propri simili, per il gusto stesso di stare in società, fattori, come la “gioia di vivere”, che la zoologia solo a partire da fine Ottocento cominciava a prendere in considerazione.

Socievolezza necessaria ché consente ai più deboli di proteggersi, garantisce longevità, favorisce le specie nel crescere la prole con il minor spreco d’energia, insomma rappresenta il più grande vantaggio nella lotta per la vita. Sì perché la vita è lotta e il più adatto sopravvive, basta però non entrare in competizione sempre dannosa per la specie e noi umani, soprattutto oggi, ne sappiamo qualcosa ché l’individualismo sfrenato “è uno sviluppo moderno, non una caratteristica dell’umanità primitiva.” Già, i nostri antenati – che stando sempre a Darwin discendevano più che dall’isolato gorilla, dal socievole scimpanzè – si organizzarono in società, bande e tribù più che famiglie, e se nel Paleolitico condividevano pasti in occasione della sepoltura dei morti, nel Neolitico vivevano presso laghi.

Prendendo a esempio tribù primitive che a fine Ottocento e, pochissime, ancora oggi vivono allo stesso livello di civiltà in cui gli abitanti dell’Europa si trovavano ai tempi preistorici (dai Boscimani agli Ottentotti la cui parola è sacra, passando per i Papua che vivono un comunismo primitivo senza nessun capo, lavorano in comune per avere cibo ogni giorno, crescono figli in comune e alla sera, in ghingheri, ballano; senza tralasciare Fuegini, i dolci Eschimesi e gli Aleuti), Kropotkin illumina il trapassato remoto e giunge a dire che l’uomo primitivo identifica la propria esistenza con quella della sua tribù e aggiunge “senza questa qualità il genere umano non avrebbe mai conseguito il livello che oggi ha raggiunto.”

Stando al pandemonio che viviamo in questi tempi verrebbe da fuggire subito indietro alla comunità di villaggio che l’autore considera trasversale a tutto il genere umano. “La terra era proprietà comune della tribù, o del popolo intero (…) La proprietà privata o il possesso perpetuo erano incompatibili con i principi e le concezioni religiose della comunità di villaggio.” Chiaro, no? L’utopia comunista era tale solo per gli smemorati di Collegno, ché l’umanità anche nei cosiddetti barbari nella comunità possedeva in comune, coltivava in comune, pescava in comune, cacciava in comune, si aiutava reciprocamente. E allora com’è, vi chiederete, che siamo dove e come siamo? Kropotkin risponde di chiederlo agli esperti di diritto romano e ai prelati della Chiesa.

Sì, perché dopo i “civili” barbari, ci furono i Comuni con le loro gilde, le corporazioni dei mestieri e a quell’epoca d’oro e di città libere l’autore lascia il suo cuore. Dacché Stati militari a braccetto con la Chiesa cattolica distrussero, senza riuscirci del tutto, qualsiasi tipo di associazione spontanea e dal basso, l’umanità rotola malamente. “Per quasi tre secoli all’uomo è stato impedito di tendersi la mano, anche per scopi letterari, artistici o educativi. Le associazioni potevano formarsi solo sotto la protezione dello Stato o della Chiesa, o come confraternite segrete simili alla massoneria.”

E siamo al punto che viviamo senza sapere chi siano i nostri vicini, anche se fra ricchi e poveri c’è una sostanziale differenza conoscendo i secondi ancora il mutuo appoggio. Prova ne siano le tante associazioni di aiuto formatesi prima e dopo il lockdown che durante la difficile serrata hanno consegnato migliaia di pacchi e scorte di cibo ad altrettante persone bisognose senza niente in cambio se non un sentito: “Grazie!”. 

 


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