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“Certi uomini vivono per i soldi, certi bastardi per il potere”: così canta Francesco Bianconi, e così m’è dato d’accorgermi dacché sono in cammino, tanto tempo. Sono una sradicata atipica, non sradico, bensì dove vado offro cultura, alta. Alta perché universale, accessibile a chiunque abbia mente e cuore ancora vivi e parlare con arte ai vivi, è la mia ragion d’essere.Vivo in Sardegna, di cui soffro il mal, da quarant’anni, ma a singhiozzo, ossia vivendoci a lungo e tornando a lungo nella mia città natale, Roma. Da un anno sono tornata nell’isola dopo quasi vent’anni, anni bui durante i quali ho assistito alla gentrificazione di Roma. Da un anno, in Barbagia, prima a Tonara, da marzo invece a Nuoro, città incastonata in una natura mozzafiato, città cui ho chiesto la residenza, un po’ controtendenza. 
Già, perché da qui chi può scappa: perché? Non ho una risposta solo tanti forse, ma non è mia abitudine parlare a vanvera. Di sicuro, però, so da dove vengo, una metropoli difficilissima dove è facile perdersi in tutti i sensi.
Qui, trovo l’odore buono della terra, la neve d’inverno, il mare più bello a pochi chilometri d’estate.Qui, ho deciso di fare il nido ed esercitare il mio mestiere di teatrante, se non fosse che c’è un “ma” grosso come una casa e forse questo “ma” ha a che vedere con la fuga di tanti. Un ostacolo che proverò a mettere a fuoco raccontando quel che mi è capitato.
Da dicembre penso a come testimoniare teatralmente quel che vedo intorno a me: sradicamento e spopolamento. In breve: ne ho tirato fuori “Adiosu” (“Avere radici significa partecipare del passato e del futuro presentito di una collettività. Ora, se è vero com’è vero che il denaro distrugge le radici ovunque penetra, è perché sostituisce ad ogni altro movente il desiderio di guadagno. Oggi anche chi non ha cambiato dimora abituale è sradicato moralmente, dalla televisione, da internet, in una parola dalla tecnica e dalla disoccupazione”.), un progetto importante nel senso dell’impegno di tanti artisti e maestranze, quindi, impossibile da portare avanti attingendo alle mie tasche come ho fatto finora per tutte le iniziative promosse nell’isola da un anno a questa parte.
Che fare? Sbagliando, col senno di poi, mi sono rivolta all’assessorato alla cultura della città di Nuoro. In principio la mia proposta è stata accolta con entusiasmo, la funzionaria con la quale mi sono incontrata più volte mi raccomandava di puntare su artisti e maestranze nuoresi, ma in testa mi frullava la necessità di mettere in relazione più persone coinvolgendo sì nuoresi, ma anche campidanesi e romani.
Tra le raccomandazioni, quella di coinvolgere il maggiore teatro della città, cosa che ho tentato da subito, chiedendo al direttore di “parlare d’arte” e altre formule sempre disattese, mai avuto ascolto. Per farla breve, quello stesso direttore, alla prima riunione con collaboratori nuoresi in presenza, e i campidanesi via telefonata di gruppo, è stato capace di urlarmi non solo che con me era difficile collaborare in quanto ero arrivata con un progetto pronto (sic!), ma soprattutto perché non volevo sentirne di un’associazione a delinquere come la Siae che riesce a tassare di brutto perfino gli spettacoli di beneficenza. Non pago, il garbato direttore, con gli occhi fuori dalle orbite e la giugulare allo spasimo, mi ha urlato beffardo che se il Comune di Nuoro mi avesse finanziato il progetto, a me, ultima arrivata, un altro teatrante autoctono, mi sarebbe venuto a cercare con il lanciafiamme per bruciarmi i peli del c***.
Ora, a casa mia questa è una minaccia per giunta doppiamente vigliacca: in primis perché chiama in causa una persona che non è presente (il teatrante autoctono), l’altra perché è stata fatta a una donna “soldo di cacio”, dopo che il collegamento via telefono con i campidanesi amici si era chiuso.
Fatto sta che quella prima riunione è stata anche l’ultima.
Ho cercato di capire se denunciare era possibile, ma sia polizia che carabinieri mi hanno solo prospettato rogne qualora lo avessi fatto.
Anche il Comune di Nuoro, dopo quella prima riunione e una mia mail al sindaco per riferire, alla quale m’è stato risposto di rivolgermi al centro antiviolenza, si è tirato indietro scaricandomi; il che mi fa pensare che sì, quanto alla “cultura” in città vige il mono o duopolio. Mi fa pensare che qui come altrove – forse ovunque nell’Italietta -, non si finanziano le idee e i progetti, ma ahinoi, le persone (quasi sempre foriere di consenso elettorale).
Eppure, la cultura, non quella dei lanciafiamme o, peggio, dei peli del mio deretano, dovrebbe, all’unisono con le bellezze naturali dell’isola, offrire un’alternativa alle speculazioni del cemento, meglio, fare da volano all’economia di tutta la Penisola, o no?
Ecco, questa storia sta a dire che a Nuoro se non si gode dello ius sanguinis, se si è di altri lidi, non si ha diritto a libertà di espressione senza limiti di frontiera come recita l’articolo 11 della Costituzione.
E pensare che avevo (e ho) in testa un progetto, Adiosu, per oltrepassare i confini geografici. Comunque, sono caparbia, che i teatranti autoctoni, un po’ miserabili e i mediocri burocrati che da decenni incarcerano il teatro, lo sappiano.
 
 
 

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