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Filosofia della casa

 


Come essere felici insieme agli altri, qui e adesso: sta scritto in seconda di copertina di un libro che in quarta si definisce “prodigiosamente pop”: Filosofia della casa di Emanuele Coccia promette nel sottotitolo nientemeno che Lo spazio domestico e la felicità.

Subito viene da pensare a chi una casa non ce l’ha, eventualità aborrita dal filosofo che sì, arriva a vedere l’oscenità di una vita che coincida con lo spazio urbano, vita vulnerabile, esposta alla morte, sì, ma poi mette punto e comincia la sua esperienza di trenta traslochi nel mondo che lo hanno portato ad abitare case dalle più economiche alle meno. Il clochard resta muto e indietro, inizia il Gran Tour e tra camere e corridoi, cose di casa, bagni, spuntano armadi con dentro i vestiti grazie ai quali ci si porta addosso un po’ di casa quando si esce. Pagine per parlare di moda ma non c’è traccia di Leopardi, del Dialogo tra Moda e Morte, ma c’è citato Georg Simmel, colui che parlò di “stile di vita”, colui che avrebbe mostrato il vero progetto morale del capitalismo moderno, fare del denaro un liberatore, da strutture sociali ereditarie come ceto etnia o religione.

Anche qui, punto e a capo. Si cambia discorso, quindi si dà per buona l’affermazione da La Filosofia del denaro del buon Simmel, profezia non vera, oggi che il denaro non libera proprio nessuno, semmai schiavizza. Quanto a liberare da ceto, etnia e religione, non ci siamo.

Da qui in poi ho letto il libro come un cagnetto che nelle passeggiate è subito avanti e poi indietro, così, avanti e indietro, al centro delle dodici voci per dire casa ho trovato pagine dedicate ai “Social media”.

Ben lontano da chi vede nella frequentazione della rete un horror vacui di fondo, vuoto che rimpingua chi della paura altrui ne fa affare per sé, l’autore guarda indietro e per un attimo vede il clochard rimasto sullo sfondo, e si chiede cosa sarebbe stato di noi se la pandemia anziché le città ci avesse reso inaccessibili le case. Lo vede, il clochard, ma prosegue tra le vie della rete per magnificarne le sorti.

Risale a Schiller, al gioco e all’arte, sfera intermedia quale casa della soggettività, e la costruzione del soggetto è oggi compito della tecnologia.

Ora che finzione e realtà non sono più contrapposte, i social media sono un romanzo “a cielo aperto”, tutti autori, lettori e personaggi: saltata la quarta parete. Le macchine, psicomimetiche o psicomorfe, allo sguardo di Coccia si fanno mezzi per una nuova “anima del mondo”, psiche collettiva di tanti soggetti e altrettanti personaggi.

Altra la mia esperienza, che suggerisce un punto di svista quasi come un refuso, aver scambiato il sangue cattivo degli uomini con l’anima del mondo.

Vero è che tutti fingono, ma nei ringraziamenti Emanuele Coccia è sincero: dà luce a Rosella Postorino per avergli insegnato a scrivere e a Maria Luisa Putti, per avergli rivelato i misteri della lingua italiana.

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