Passa ai contenuti principali

Due vite

 


A sentir lui, la scrittura è un mezzo buono per evocare i morti. Consiglia a chi ha nostalgia di qualcuno, di fare lo stesso: scrivete di chi non c’è, e lui o lei sarà con voi. A me è capitato, ma parliamo di lui: Emanuele Trevi che a 56 anni corre per il Premio Strega con “Due vite” edito da Neri Pozza. Dopo Einaudi, Laterza, Rizzoli, Ponte alle Grazie, ora con la casa editrice veneziana tenta di dare una seconda vita al suo libro che racconta due amici scrittori scomparsi presto: Pia Pera e Rocco Carbone. Vi consiglio di leggere queste centoventisette pagine concedendovi un pomeriggio pieno, ne uscirete con la sensazione piacevole che sì, l’autore c’è ma scompare in un abile togliersi di mezzo, da autore ad amico, testimone oculare di tanti fatti divenuti aneddoti, probabilmente. Due vite forse tre, anzi due vite e una voce che dice la sua, deduce, ricorda, sfoglia fotografie, vecchi diari fino a sostituirsi all’amico Rocco nel portare a termine un romanzo uscito postumo. Quasi Ottilia goethiana arriva a scrivere come avrebbe scritto lui, tanto lo aveva a cuore. Eppure, un motivo l’avrà avuto Carbone per rimproverare a Trevi la scarsa fedeltà nell’amicizia: soffriva di crisi abbandoniche, dice Trevi, eppure qualcosa di vero dev’esserci in un’accusa così. Chissà.

Torniamo ai due, Pia e Rocco: masochista lei, sadico lui. Lei conoscerà quel che Trevi non ammette, che “un dolore o una malattia servano a qualcosa”, diventando quasi un tutt’uno con il suo giardino che alla fine andava a cercarla con i suoi odori. Non ho mai letto libri di Pia Pera ma Trevi parla di suoi processi di semplificazione e di pulizia interiore che fanno pensare a un’energia vegetale. Minerale invece, nomen omen, Rocco Carbone.  

E se la forma della scrittura non mente, quella “acuta” che Trevi dedica all’amica, fa da contraltare a quella “ottusa” prescelta per l’amico. Per essere più chiara: le pagine dedicate a Pia, sono verticali (le piante cercando la luce si spingono in alto); le pagine dedicate a Rocco, sono orizzontali (i minerali sottoterra, geminano). Amici dagli anni Ottanta, legami destinati a durare se la morte non ci avesse messo lo zampino. Prova ne sia una foto su tutte, scattata a Via del Boschetto a Monti, nella casa di Rocco che aveva travi ad altezza di zuccata, e nell’immagine Pia scongiura la micidiale testata a Trevi, foto scattata dal padrone di casa. Gesto tipico di lei, proteggere come attirare persone fuori dell’ordinario; lei, slavista che prestò ali di leggerezza a Puskin in una traduzione memorabile dell’Eugenij Onegin del 1996, Marsilio. Lei, che calamitava “spostati” e “vermi”, vale a dire amanti non all’altezza, neanche amori; lei, aria da Mary Poppins al contrario, da giovane, sfrontata come chi non deve mettere insieme il pranzo con la cena (condizione che probabilmente l’accomuna a Emanuele Trevi che relega la condizione economica a un problema apparente! D’accordo classificare così sentimenti e creatività, ma solo chi non ha mai conosciuto la fame può appaiarla all’apparenza…). Ricca di suo, Pia traccia sulla terra il solco di chi aveva connaturato l’istinto morale, forse indispensabile a chi voglia scrivere.

Ne sapeva di Sade, le piaceva scrivere di sesso e ai modi ipocriti dell’erotismo, preferiva la concretezza della pornografia; le piaceva Lolita, tanto da scrivere “Diario di Lo” che le costò avere a che fare con il diritto d’autore e nessuno ascoltò le sue ragioni: idee e miti non sono di nessuno perché appartengono a tutti. E a tutti voleva giungere Rocco, prima ora, studioso di semiotica e semiologia; poi, schifato all’idea di diventare un epigono di Umberto Eco, sceglie di farsi calamitare dall’idea di sé scrittore. La sua buona stella lo conduce al successo, nonostante una notte buia e scura da cui emerse più forte. Il “risentito cosmico” lo chiama Trevi, ma un amico lo può. Un amico può portare a termine un incompiuto in nome del bene trascorso, per dimostrarlo a chi come Rocco – a mo’ di anime sospese di Gurdjieff –, pativa finanche nell’aldilà la mancanza più che del bene, della sua dimostrazione. A un tratto il suo fantasma, così come aveva iniziato ad abitare la mente di Trevi, si dileguò. Morì in un incidente di moto quantomeno dubbio, aveva iniziato indagini al suo paesello, in Calabria. Schiantato contro auto parcheggiate in doppia fila, morto sul colpo. A lui, Roberto Varese, scrittore e amico, dedicò un ulivo, piantato in memoria all’Aventino. C’era la targa per ricordarlo, Rocco Carbone, ma come si dice a Roma, se la so ‘mbertata, una, due volte, alla fine solo l’ulivo è rimasto frondoso ad accogliere chi sosta.

Tanto resta di questo libricino – le sotterranee tirate di Trevi contro la psicanalisi, contro l’accademia, contro l’erotismo, contro o a favore di tutte le lobby, contro il liquame sentimentale, contro la felicità a tutti i costi, in nome di una resistenza e una capacità di rubare piacere al mondo di per sé non incline, anzi. Tranchant, Trevi, e non capisci come riesca a stare in equilibrio: parla dalle pagine del Corriere della Sera e da quelle de il manifesto, è voce del Capitale e voce della sinistra radical chic. Ci credo che ce l’ha con l’introspezione e la cura di sé.  

Comunque, c’è da augurarsi che lo vinca lui, lo Strega, se non altro a creare un precedente: una lingua scritta che parla.    

 

Commenti

Post popolari in questo blog

Esercizi di stocastica

Respirare con la pancia, si consiglia l’orizzontalità, ma se non si può, anche da seduti, piedi a terra. Il gioco è a non identificarsi, gioco di straniamento, sennò meglio Topolino.   “Nuoro è un colabrodo”, dice quella signora che vorrebbe parlare e non vorrebbe, “Sì, aggiunge, fa acqua da tutte le parti.” Avrei voluto chiederle delle falde, se quella sentita in Piazza Satta, e scorre sempre, lo fosse, se quella in Santu Predu pure; avrei voluto chiederle se fosse acqua persa o da trattenere, avrei voluto chiederle tante cose, ma è fuggita via prima che potessi parlarle, sì, fuggita via mentre le parole si perdevano nell’afa. Riu Grùmene? Riu Mughina? S.Logo? Cedrino? Acqua comunque ce n’è, mi chiedo se sia sempre preziosa per tutti Scorre come fiume, a monte il futuro, a valle il passato. Come fiume scorre la vita, in città. Tante voci, e penso a un amico romano, ogni mèta prevede la visita al cimitero, “ché i morti continuano a parlare, sai?” Secondo lui, una visita...

Il pregiudizio psichiatrico

  Basta poco, un esaurimento dovuto magari a un momento di crisi negli affetti o nel lavoro e può capitare di “dare fuori” di testa, allora agli occhi di parenti e amici si diventa pericolosi e il ricorso a uno specialista dà avvio a una via crucis senza ritorno. “C’è da pensare che Gesù Cristo invece della croce, strumento contro gli schiavi in rivolta, oggi si sarebbe beccato l’intervento della scienza psichiatrica, strumento contro i pazzi pericolosi.” Parlava chiaro Giorgio Antonucci, non psichiatra che ha lottato dal 1966 fino ai suoi ultimi giorni contro l’internamento e il pregiudizio psichiatrico. Quest’ultimo è il titolo di un libro importante, tutto di fatti e in un linguaggio semplice: “Le parole complicate e astruse degli psichiatri, come quelle dei giuristi e ancor più dei politici, e dei medici in genere, servono a non far entrare gli altri nel loro mondo, dato che buona parte del potere passa per l’accesso alle parole e al loro significato.” Non-psichiatra che rite...

La femminilità, una trappola

Cosa può la letteratura? A chiederselo, Simone De Beauvoir, ora e ancora in libreria grazie all’edizione di 11 – un’ambassi -, scritti inediti dal 1927 al 1983 pubblicati da L’Orma che li affida a tante traduttrici, sotto il titolo La femminilità, una trappola , ma in inglese suona altrimenti Femininity, the trap . Per quanto la riguarda, donna libera, la filosofa fu pronta a combattere sui due fronti che le mise di fronte il caso: contro gli uomini riottosi a una relazione alla pari, contro le altre donne, supinamente acquiescenti al mito dell’“eterno femminino”. Mito inventato dagli uomini con il plauso delle donne che intruppano contro se stesse per prima cosa. Quando studiava alla Sorbona, Simone rimase sconvolta a sentire le ragazze dire con umiltà: “E’ un libro da uomini. Noi non riusciremo mai a venirne a capo”. Le prime ad esserne convinte, d’essere inferiori, erano proprio le donne, tanto da inverare la loro inferiorità. Come dire che all’inferno ci finisce chi ci crede. “La d...