A Friederich Schiller Goethe era debitore di una seconda giovinezza, di averlo riportato ad essere poeta “quando avevo a tutti gli effetti smesso di esserlo”.
Lo scrive lo stesso autore del portentoso Faust in una lettera del 1798 all’amico drammaturgo, una delle trentuno raccolte da Marco Federici Solari sotto il titolo Mirabile libro il mondo per la collana dei Pacchetti de L’orma editore.
Ossia quei libriccini pronti per essere spediti che radunano lettere spesso inedite di artisti e pensatori di ogni tempo.
Ben 15.000 sono quelle giunte a noi dello scrittore nato a Francoforte sul Meno nel 1749, e le trentuno scelte da L’orma vanno dal 1764 al 1832: da un Goethe appena quindicenne a un vecchio che ancora s’interroga sulla vita a cinque giorni dalla morte.
Un arco di tempo di settanta anni, non poco. Di certo bastevole a render conto di tante fasi della vita di colui che per dir lettera coniò, nello studio dedicato a Winckelmann, la formula “colloquio con se stessi”.
Di lettera in lettera si profila il ritratto sì di un genio – Nietzsche sentenziò talmente grande che non avrebbe dato eredi –, ma anche di un uomo in cerca di equilibrio duraturo, equilibrio prima scosso dal folle innamoramento per Charlotte Buff, ispiratrice della Lotte de I dolori del giovane Werther della quale nelle pagine d’iconografia del Pacchetto c’è una silhouette gelosamente custodita dal giovane Goethe.
Poi, dopo l’esperienza politica di Weimar, che lo vide ministro e dove addirittura gestì questioni militari, all’improvviso, un altro scossone e in incognito, partì per il suo famoso Viaggio in Italia.
Era il 13 settembre 1786, e nel cuore della notte, assumendo l’identità di Philipp Moller, pittore, Goethe realizzava il sogno di quando bambino ascoltava a bocca aperta i racconti del padre sulle antichità romane. In Italia ritrova se stesso, vi vive in perfetto anonimato una vita dedita ai sensi, a quel “disimparare” tutto quel che aveva imparato sull’arte per abbracciare un’altra conoscenza: “Appena arrivato a Roma, mi resi presto conto di non capire assolutamente nulla di arte”. A Roma, crea il suo quartier generale, il Gran Tour è lungo due anni, ma la fuga improvvisa crea gelo con la dama di corte Charlotte von Stein, sua amica, grande amore e musa che però, in punto di morte, diede fuoco a gran parte delle missive scambiate con lui: un corpo di 1700 lettere.
Nel giugno del 1788, Goethe torna a Weimar ma vi torna da uomo cambiato: niente più politica, solo letteratura.
Inizia l’amicizia con Schiller, al quale confiderà stati d’inquietudine (lettera del 1797) come di rilassatezza e imperturbabilità (lettera del 1801): prende il via un sodalizio straordinario, all’autore de I Masnadieri Goethe confida: “Nessuna opera di genio può essere migliorata, liberata dai suoi difetti, tramite la riflessione e i suoi corollari. Tramite la riflessione e l’azione, però, il genio può elevarsi gradino dopo gradino fino ad arrivare a creare opere esemplari. E, più il secolo stesso possiede del genio, tanto più viene stimolato l’individuo.”
Dopo la morte di Schiller fu Goethe stesso a curare e dare alle stampe il loro carteggio.
Goethe nella sua lunga vita collezionò carteggi dei grandi del passato, pubblicò le corrispondenze dei suoi contemporanei, custodì con cura le sue stesse missive.
L’ultima che spedì – al linguista e filosofo Wilhelm von Humboldt con cui da anni intratteneva uno scambio serrato -, è un frammento filosofico: “Tanto prima una persona comprende quale mestiere o quale arte contribuisce all’armonica crescita delle sue disposizioni naturali, tanto più sarà felice”.
Lo scrive lo stesso autore del portentoso Faust in una lettera del 1798 all’amico drammaturgo, una delle trentuno raccolte da Marco Federici Solari sotto il titolo Mirabile libro il mondo per la collana dei Pacchetti de L’orma editore.
Ossia quei libriccini pronti per essere spediti che radunano lettere spesso inedite di artisti e pensatori di ogni tempo.
Ben 15.000 sono quelle giunte a noi dello scrittore nato a Francoforte sul Meno nel 1749, e le trentuno scelte da L’orma vanno dal 1764 al 1832: da un Goethe appena quindicenne a un vecchio che ancora s’interroga sulla vita a cinque giorni dalla morte.
Un arco di tempo di settanta anni, non poco. Di certo bastevole a render conto di tante fasi della vita di colui che per dir lettera coniò, nello studio dedicato a Winckelmann, la formula “colloquio con se stessi”.
Di lettera in lettera si profila il ritratto sì di un genio – Nietzsche sentenziò talmente grande che non avrebbe dato eredi –, ma anche di un uomo in cerca di equilibrio duraturo, equilibrio prima scosso dal folle innamoramento per Charlotte Buff, ispiratrice della Lotte de I dolori del giovane Werther della quale nelle pagine d’iconografia del Pacchetto c’è una silhouette gelosamente custodita dal giovane Goethe.
Poi, dopo l’esperienza politica di Weimar, che lo vide ministro e dove addirittura gestì questioni militari, all’improvviso, un altro scossone e in incognito, partì per il suo famoso Viaggio in Italia.
Era il 13 settembre 1786, e nel cuore della notte, assumendo l’identità di Philipp Moller, pittore, Goethe realizzava il sogno di quando bambino ascoltava a bocca aperta i racconti del padre sulle antichità romane. In Italia ritrova se stesso, vi vive in perfetto anonimato una vita dedita ai sensi, a quel “disimparare” tutto quel che aveva imparato sull’arte per abbracciare un’altra conoscenza: “Appena arrivato a Roma, mi resi presto conto di non capire assolutamente nulla di arte”. A Roma, crea il suo quartier generale, il Gran Tour è lungo due anni, ma la fuga improvvisa crea gelo con la dama di corte Charlotte von Stein, sua amica, grande amore e musa che però, in punto di morte, diede fuoco a gran parte delle missive scambiate con lui: un corpo di 1700 lettere.
Nel giugno del 1788, Goethe torna a Weimar ma vi torna da uomo cambiato: niente più politica, solo letteratura.
Inizia l’amicizia con Schiller, al quale confiderà stati d’inquietudine (lettera del 1797) come di rilassatezza e imperturbabilità (lettera del 1801): prende il via un sodalizio straordinario, all’autore de I Masnadieri Goethe confida: “Nessuna opera di genio può essere migliorata, liberata dai suoi difetti, tramite la riflessione e i suoi corollari. Tramite la riflessione e l’azione, però, il genio può elevarsi gradino dopo gradino fino ad arrivare a creare opere esemplari. E, più il secolo stesso possiede del genio, tanto più viene stimolato l’individuo.”
Dopo la morte di Schiller fu Goethe stesso a curare e dare alle stampe il loro carteggio.
Goethe nella sua lunga vita collezionò carteggi dei grandi del passato, pubblicò le corrispondenze dei suoi contemporanei, custodì con cura le sue stesse missive.
L’ultima che spedì – al linguista e filosofo Wilhelm von Humboldt con cui da anni intratteneva uno scambio serrato -, è un frammento filosofico: “Tanto prima una persona comprende quale mestiere o quale arte contribuisce all’armonica crescita delle sue disposizioni naturali, tanto più sarà felice”.
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