Colin Ward, architetto e urbanista prima, insegnante, scrittore e giornalista freelance poi, aveva – è mancato nel 2010 –, un viso buono e sereno.
Considerato uno dei più
influenti e innovativi pensatori anarchici della seconda metà del XX secolo, collaborò
con testate come The Guardian e New Statesman e scrisse di un anarchismo
pragmatico del qui e ora.
A giugno 2020, la preziosa casa
editrice elèuthera, ha finito di stampare il suo L’anarchia un approccio
essenziale che già nel titolo la dice lunga sul carattere divulgativo.
La parola anarchia deriva dal
greco an-archia e significa “senza governo” o “contro l’autorità”. Usata
perlopiù in senso negativo fino a quando, nel 1840, non è stata adottata da
Pierre-Joseph Proudhon per dare un nome alla sua ideologia politica e sociale
che non escludeva un’organizzazione priva di governo, anzi, la diceva
desiderabile.
“Storicamente, l’anarchismo
nasce come risposta al divario esistente tra ceti ricchi e poveri in ogni
comunità”, basterebbe questo, alla luce della forbice sociale d’oggigiorno –
più del 5% delle famiglie italiane vive in povertà assoluta e sono i poveri
poveri poi c’è una schiera di poveri e basta –, per far capire che non ha perso
la sua ragion d’essere.
Premesso che in Italia al 2018
c’erano 111.000 leggi vigenti di cui quattro scritte da Mussolini, senza
contare le regionali, viene facile capire come per gli anarchici il vero nemico
sia lo Stato che protegge i privilegi dei potenti. “Gli anarchici e i loro
precursori sono stati gli unici della sinistra politica ad affermare che operai
e contadini, quando colgono le occasioni per porre fine a secoli di
sfruttamento e tirannia, vengono inevitabilmente traditi dai nuovi ceti
politici emergenti, il cui interesse prioritario è ristabilire un potere
statale centralizzato.” E se una critica frequente all’anarchismo che promuove
l’alternativa federalista, è di essere un’ideologia per un mondo di villaggi
isolati tanto piccoli da potersi autogovernare, è pure vero che oggi nel mondo
globale multinazionale, esiste una corrente pan-europea che nasce a Strasburgo
da persone di ogni orientamento politico, secondo cui esiste una “Europa delle
Regioni”. Il modello amministrativo federale che queste persone cercano di
mettere a punto, è un legame, per esempio, tra Calabria, Galles, Andalusia,
Aquitania, Galizia e Sassonia, quali regioni e non nazioni, un legame fondato
sull’identità economica e culturale. Antesignano fu Proudhon che all’idea
federativa dedicò due libri uno dei quali riguarda proprio l’Italia della quale
dice: “È federale per la costituzione del suo territorio, per la diversità dei
suoi abitanti, la natura del suo genio, i suoi costumi, la sua storia”. Dal canto suo Petr Kropotkin – prima
apprezzato geografo, poi impegnato a dare all’anarchismo una base scientifica –,
nella sua autobiografia scrive dell’indignazione provata “vedendo come il
sistema amministrativo e fiscale del governo centrale impedisse ogni possibile
miglioramento delle condizioni locali, per ignoranza, incompetenza o corruzione,
oltretutto distruggendo antiche istituzioni comunitarie che avrebbero potuto
offrire alla popolazione la possibilità di migliorare la propria esistenza.” Stessa
solfa di sempre, i ricchi sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri. Oggi
il problema europeo è se concepire un’Europa degli Stati o un’Europa delle
Regioni, problema cui il Consiglio d’Europa ha cercato di dare una soluzione
invitando i governi nazionali ad adottare una Carta europea dell’autogoverno
locale “al fine di formalizzare l’adesione al principio che le funzioni di
governo devono essere svolte al livello amministrativo più basso possibile e
trasferite a livelli superiori attraverso il consenso”. Indicazione pan-europea
che naturalmente i governi si guarderanno bene dal mettere in pratica. Strano,
no? La parola anarchia nel senso comune sollecita immagini di disordine ed
egoismo, mentre in realtà è tutto l’opposto e di gran lunga più sensata e
adatta all’essere umano di quanto non si creda. Personalmente, è stata decisiva
la visione di un film di Ken Loach del 1995, Terra e Libertà che
racconta un episodio chiave della guerra civile spagnola del 1936, film,
accolto entusiasticamente in Spagna e non solo, che Ward nomina. Da lì, ho
iniziato a studiare davvero la tradizione anarchica risalendo alle figure
principali oltre i già citati Proudhon e Kropotkin, l’inglese William Godwin e
il russo Bakunin.
A chi volesse farsi un’idea non
preconcetta dell’anarchia, questo piccolo libro ne ripercorre le idee con poche
parole ma essenziali. Come nell’ultimo capitoletto, il decimo, dedicato
all’ecologia: “Quando nel 1899 è apparso per la prima volta Campi, fabbriche,
officine di Kropotkin, i precursori del movimento verde vi hanno trovato
diversi elementi stimolanti, perché l’autore poneva l’accento sulla
produttività di un sistema industriale decentrato e di piccola scala e perché
proponeva un approccio “orticolo” alla produzione alimentare.” Addirittura,
quando fu ripubblicato alla fine della prima guerra mondiale, nella nuova
prefazione si leggeva un’annotazione che faceva riferimento alla necessità di
una nuova gestione delle energie usate “per sopperire ai bisogni della vita
umana, dal momento che tali bisogni sono in crescita e le energie non sono
inesauribili”.
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