Quel che
sembra non è. Non è un libro da scorrere con gli occhi, è pieno d’ironia, a
volte amara, ma richiede un’attenzione vigile pari a un uguale e contrario
lasciarsi andare.
La luce
e la notte di Germano Zampa, uscito a novembre per Rupe Mutevole
edizioni, si apre con il rodimento proprio di chi sospetta d’essere tradito.
Sospetta
Filiberto che la moglie Luisa lo tradisca con l’architetto Bovi, guru di una
compagnia di amici vari ed eventuali di una non precisata città italiana.
Fin qui
sembrerebbe che il fattaccio sia il perno di un romanzo che si snoda per
duecentosettanta pagine le quali poi in verità quel perno, quel fulcro, lo sposteranno
di continuo in fughe da capogiro. Fino quasi a farne smemorato il lettore che
si ritroverà immerso in una miriade di storie offerte con un alto tasso
d’invenzione linguistica.
E se
quel che sembra non è, allora, sulla carta, tutto può essere.
Può
essere che Filiberto, per allontanarsi dal rodimento del sospetto, finisca per
prendere un treno verso una non definita località marittima in pieno inverno.
Su quel treno incontra Lucia, verde dagli occhi agli accessori, che, guarda
caso il Caso, legge un libro di quel temuto e detestato Bovi e finisce per
diventare l’amante del presunto tradito. E al mare d’inverno alloggerà in una
pensione a conduzione familiare frequentata da imprenditori o commessi
viaggiatori che ogni sera raccontano a turno una storia. È la stura alla
fantasia intrecciata a un’erudizione d’altri tempi che caratterizza l’autore.
Che con
mano ferma – scrive a mano poi travasa non senza evoluzioni nel computer -,
strattona il lettore medio in una caleidoscopica avventura che lo porterà a
vedere cose mai viste né sentite.
Forte di
una cultura enciclopedica, Germano Zampa inventa e resuscita intrecci da
lasciare a bocca aperta. Fortissimo di un coraggio che sfida morfemi e fonemi,
racconta di teste che parlano, improbabili abati Faria, Dei e Dee che si
contendono poveri mortali, destini da esiliati, morti resuscitati, recupera
Sinbad il marinaio e Dio in persona, anzi in salopette intento a un Giudizio
Universale poco etico che consiste nel mandare all’Inferno chi viene colpito
dai torsoli di mela che sputacchia apparentemente a casaccio.
Insomma
un profluvio visionario e sonoro che rimanda all’eccezionalità di Gadda e
Manganelli. Eccezionalità non smentita da un finale senza finale, previo, il
non finale, di omaggi sparsi finanche a La Terrazza di Ettore Scola.
Scritto
in vent’anni, nei ritagli che il tempo da medico gli lasciava, La Luce e la
Notte è un libro insolito nel panorama nostrano linguisticamente omologato
dei libri a tavolino cui l’autore dedica parole sacrosante.
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