Avercela una penna capace di
disegnare con le parole, sarebbe da farsi qualche bracciata a nuoto, come
consigliava Giuseppe Pontiggia.
Poi, scrivere. E magari
dipingendo, con le parole arrivare in alto, a guardare da lassù. Avercela una
penna così, con un niente spalanchi vedute mozzafiato e un attimo dopo sei
nell’erba, a indovinare gli insetti dal rumore che fanno. Con una penna così, pochi
cenni – un tripudio di rondini - e sei dentro fino al collo in una cronaca di
diserzione, storia incredibile ma verisimile. Quanto al Dumont del titolo, è la
fonte del racconto, lui è quello delle domande, disegna fin da ragazzino, suo
padre lo esortava a sapere cosa pensasse guardandolo nelle pupille. Dal 6
maggio grazie a L’Orma in libreria, Il cannocchiale del tenente Dumont di
Marino Magliani è romanzo con al centro un tenentino dell’esercito napoleonico
in Egitto, è l’estate del 1799 e dall’Africa sta per essere rimpatriato con il
capitano Lemoine e il soldato basco Urruti, insieme consumano hascisc.
Dumont arriverà a detestare il
cannocchiale, ricordo di una contemplazione forzata. Libro che solo ad aprirlo
sembra di esserci, acquattati nella visione, sembra di stare al cinema o se
volete restare nella pagina magari a piè o a margine, accanto a un nome greco,
Mareotis, scritto di pugno da un chirurgo di origini olandesi, attivo negli
accampamenti intorno a Jaffa: Johan Cornelius Zomer.
Mareotis è il nome di un
esperimento di medicina, prima ancora di un lago salmastro vicino la foce del
Nilo: ai dì delle Piramidi, Napoleone volle sapere il perché di tante defezioni
dalle sue truppe, volle una commissione di ufficiali e scienziati, dissero che
la peste intorno a Jaffa era la prima causa.
A Zomer “la missione” di vedere
nell’uso dell’hascisc spacciato lungo le rive del lago, la vera causa delle
diserzioni, e Dumont Lemoine e Urruti sono le cavie dell’esperimento Mareotis:
pedinati dall’Africa all’Italia, sempre.
Lo saranno sulla Carrère, nave
che dall’Egitto li porta in Europa, mentre sulla gemella Muiron naviga
Napoleone. (L’ultima volta l’ho incontrato durante la prima serrata, leggendo
Tolstoj, Guerra e pace. Lì in tutta la sua presenza, qui di sghembo, decisivo e
marginale a un tempo).
Dumont finirà in sanatorio, poi
si ritroveranno dopo Marengo, battaglia persa alle cinque e vinta alle sette,
due ore per darsi alla macchia, nell’impervio entroterra ligure.
Ci resteranno mesi da disertori
in fuga, nascondendosi di giorno e camminando la notte, nutrendosi di erbe e
frutta, radici, aggrappandosi alle ginestre, inciampando e scivolando. Valloni ingialliti
dai fiori e pietraie, terrazzamenti ed erba alta che odora forte, mai il mare, mare
da raggiungere grazie alla memoria e alle carte del capitano Lemoine che in
Italia trascorse la gioventù.
Lui è l’esperto, “lui ha i
soldi, il cannocchiale, i contatti per il futuro”. Capitano segnato dalla tisi,
li porterà fino a Porto Maurizio, finalmente il mare, l’azzurro degli ulivi che
vira al turchese. Da lì il sogno è imbarcarsi clandestini per Cipro, ma non
andrà così, l’autore, Marino Magliani, sotto la penna ha una riserva piena di
sorprese.
C’è gioia di scrivere in
ciascuna delle duecentottantasei pagine di questo romanzo che riecheggia di
voci nelle valli, fiato corto di paura quando incontrano con falci e forconi i
contadini, o ronde piemontesi o francesi, sbandati o banditi.
Pagine vive, teatro di odori e
sapori, freddo e sole a picco. E coscienza.
Oltre la fonte, i dispacci, le
lettere, la voce di Zomer, che a un tratto si firma traducendosi in italiano,
Giovanni Estate e così avverrà per Dumont – lui che se non esercita l’occhio,
sta sdraiato nell’erba, o disegna con un coltellino animali, profili umani.
Sognatore senza sogni, segnerà col suo passaggio quelle valli.
Non manca nemmeno la commozione, l’intenerimento del cuore che batte a ogni colpo di scena. L’hascisc, l’ultima riserva, la getterà via Dumont quando madre natura, perturbante, lo libererà di ciò che lo legava a Lemoine e Urruti, da lì in poi sarà un precipitare annunciato. Niente paura, mancano ancora cento pagine e per voce di Zomer tutto si dipanerà come una matassa in un doppio triplo finale, epilogo straordinario che vorresti non finisse.
Che bella lettura, grazie, davvero, e mi piacerebbe chiamarla per nome.
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