Occhi dolcissimi, limpidi e profondi tanto da essere fermi: fronte naso bocca, morbidi e sensuali non senza il pudore di chi è innocente. Aveva ventidue anni Friedrich Hölderlin quando Franz Carl Hiemer lo ritrasse, era il 1792. Allora, il poeta di Iperione e di Empedocle e tante altre opere altrettanto meravigliose, era considerato per i suoi talenti, uno dei più fulgidi ingegni di Germania, d’Europa. Talenti onorati da uno studio continuo dal traduttore di Sofocle che teorizzò come chi traduca debba farsi calco e clorofilla. Hölderlin, che sintetizzò la tragedia facendola “=0”. Uomo così sensibile che finì o si fece pazzo, questo il dilemma su cui fa luce Giorgio Agamben con “La follia di Hölderlin”, 241 pagine di “Cronaca di una vita abitante 1806-1843”. Libro con una cronaca doppia, almeno fino al 1809 – cronaca del mondo, da cui spiccano Napoleone e Goethe (quest’ultimo, agli occhi chiari del poeta svevo di Nurtingen, gli aveva impedito l’ingresso da docente all’Accademia e pertan...